Cinquant’anni di sguardi: La fotografia scopre il Sacro Monte (1998)

in Amilcare Barbero, Carlenrica Spantigati, a cura di, Sacro Monte di Crea. Alessandria: Cassa di Risparmio di Alessandria,  1998, pp.  137-145

 

 

 

“Crea è veramente un luogo amenissimo (…) Ma per ben intendere a cosa realmente serva il Santuario di Crea per i quattro quinti almeno di coloro, che là si arrampicano, è bene visitarlo in un giorno di domenica dei mesi d’agosto, di settembre o di ottobre.

Che mondo!…. Che baccano allora udiremmo su quel piazzale del convento!….

Qui un confettiere vorrebbe raddolcire la bocca (non parliamo della lingua) a tutta la gente: là un rumoroso venditore di rocche pretende che tutti (…) comprino lo strumento indispensabile per preparare il corredo delle spose. Più in qua un acquacedrataio ci introna le orecchie gridando: «acqua giassà:» a noi vicino poi una fruttivendola vuole riempirci, se pur lo potesse, le tasche di «castagne belle e calde, » mentre ci regala il fumo della sua caldarrostiera. De-Maria stando sulla porta del suo albergo saluta i nuovi arrivati: un gruppo di signore si muove verso il tempio accompagnate dai loro cavalieri serventi (…) famiglie d’operai vanno cercando un luogo per poter comodamente vuotare le canestre dei cibi (…) Vispe ed allegre fanciulle prendono i molti sentieri che su e giù s’intersecano pel bosco (…) E la volta del cielo copre tutta la varia scena: il bosco nasconde anche i peccati di desiderio (…).” (Niccolini 1877, pp.519-520)  Il tono di questa descrizione ha tutta la vivacità di un’istantanea: la raffigurazione di una coralità, di un insieme è risolta per scene fissate nel momento del loro compiersi, lontane dalla fissità della posa, in modi che la fotografia solo in quegli anni iniziava faticosamente a mostrare;  è proprio questa però -e quindi il fotografo- a risaltare per la sua assenza dalla scena sonora e viva che si svolge sulla piazza del Santuario e nei boschi intorno, che nel 1877 poco ancora sembrano aver conservato o riconquistato di sacro.  Nessun fotografo, da Asti, da Casale, da Vercelli a mescolarsi alla folla domenicale per eseguire ritratti a consegna immediata, le povere lastre zincate, nerastre,  rivestite al collodio dei ferrotipi,  utilizzati dagli ambulanti in giro per villaggi e fiere, per santuari.

Quando il primo fotografo – almeno per ciò che ne sappiamo sinora – sale a Crea è trascorso poco più che un anno dalla pubblicazione di questo testo, ma la sua attenzione non si sofferma certo sugli stessi soggetti: le tre riprese che Vittorio Ecclesia realizza nel 1878-1880 e presenta poi all’Esposizione torinese del 1884 riguardano la facciata e l’interno del santuario ed una Veduta generale del Sacro Monte di Crea  ripresa dal colmo della chiesa  che costituisce una delle più affascinanti invenzioni iconografiche del fotografo e di tutto il repertorio relativo a questi luoghi, per la sua capacità di porre in risonanza il segno architettonico del profilo del frontone della chiesa con quello del colle disseminato di cappelle, rinunciando alle facili suggestioni di una troppo rigida simmetria centrale per produrre, per la prima e forse unica volta, una precisa ed efficace sintesi visiva del sito, ribaltando il punto di vista – e quindi il significato- dello schizzo realizzato da Clemente Rovere il 13 settembre 1849 (Sertorio Lombardi 1978, n.2663). La presenza di Crea nella raccolta di immagini di Ecclesia[1] suggerisce però ulteriori considerazioni: poiché  la prevalenza dei soggetti rappresentati è costituita da chiese ed edifici romanici, da monumenti di riconosciuto interesse e valore architettonico quali le cattedrali di Asti e Casale, alla presenza delle immagini del santuario di Crea deve essere riconosciuto un significato diverso, legato al più complesso insieme di valori devozionali e tradizionali che ruotano intorno al monte di Crea nel secondo Ottocento.

Che non fosse il valore architettonico dell’edificio a giustificarne l’inserimento nella raccolta fotografica di Ecclesia è dimostrato indirettamente anche dalle scelte di un autore come Secondo Pia che solo nel 1902 si preoccuperà di inserire le due immagini della facciata e dell’interno della chiesa nel proprio repertorio ormai ventennale di architetture e opere d’arte piemontesi[2].  Quando sale per la prima volta al colle, il 15 settembre del 1885, la sua attenzione è rivolta al solo aspetto paesaggistico, risolto in un panorama in due parti ripreso da sud, secondo quel punto di vista canonico che, con leggere varianti sud / sud-est,  a partire dai primi disegni settecenteschi si ritroverà poi negli schizzi di Rovere del 1849, e nelle immagini di Negri, a volte realizzate col teleobiettivo (1890ca), mentre variazioni significative, in connessione con la coeva produzione fotografica di derivazione pittorialista, sono presenti nelle più tarde riprese effettuate da Padre Giovanni Valle o da Guido Cometto (1925-1930), destinate in parte alla edizione di cartoline e alla pubblicazione di  innumerevoli opuscoli e guide[3].

Pia tornerà, come suo costume, più volte a Crea nei decenni successivi (1888-1919) realizzando complessivamente più di trenta riprese dedicate specialmente alle opere d’arte conservate nel santuario, dalla tavola di Macrino d’Alba, fotografata una prima volta nel 1888 in esterni, forse su di un ponteggio e quindi riprodotta in autocromia nel 1909-1910,  agli affreschi da poco scoperti della cappella di Santa Margherita[4], in cui l’attenzione prevalente per l’insieme si apre al particolare per le due figure di Guglielmo VIII e Bernarda di Brosse rivelando un intrecciarsi di intenzioni documentarie e storico celebrative, per passare negli anni successivi ad altre opere presenti nella chiesa, con una attenzione singolarmente aperta alla considerazione di manufatti allora certamente considerati minori quali il Confessionale con colonne tortili, non più fotografato da altri nei decenni successivi, secondo  una accezione progettuale che non tende tanto alla esaustività del catalogo quanto alla messa in atto di un giudizio critico -seppur implicito- sul valore dell’antico di queste  opere. Sintomatica in questo senso la scelta relativa alla statuaria delle cappelle, che inizia a fotografare solo nel 1902, anno della pubblicazione del saggio di Francesco Negri dedicato al Santuario che verosimilmente gli fa da guida, per ritornarvi molti anni dopo, nel 1919,    limitandosi però a fotografare quelle sole cappelle in cui si conserva l’opera dei fratelli Tabacchetti  così puntualmente studiata dal fotografo casalese.

“Di tutte le terre monferrine – ricorda Luigi Gabotto nella commemorazione di Negri[5] – egli amò però in modo particolarissimo Crea. Crea ebbe per Lui un’attrattiva singolare, forse perché questo nostro magnifico colle è la sintesi del Monferrato. Qui egli trovava riunite, in picciol spazio, tutte le cose che più lo interessavano: la natura, la storia, l’arte.” L’indicazione, nella sua affettuosità,  non potrebbe essere più puntuale e sintetica: Crea è per molti versi il laboratorio di Negri, il luogo in cui conduce le proprie ricerche sul campo nei diversi ambiti che via via lo interessano, a partire certo dalla botanica, che pratica come è sua consuetudine a livelli di grande rilevanza redigendo una Flora casalese, poi rimasta inedita, per pubblicare nel 1889 un Elenco delle piante più notevoli del Monte di Crea e regioni vicine in appendice alle Notizie storiche di Corrado Onorato.  In questi anni sono ancora le scienze naturali a nutrire la sua curiosità  intellettuale, come dimostrano le  importanti ricerche microbiologiche e microfotografiche, abbandonate dopo il 1890 per dedicarsi totalmente allo studio storico-critico del patrimonio artistico casalese.

La quasi totale dispersione dell’archivio Negri[6] non ci consente di conoscere le ragioni di un mutamento di rotta che a noi appare repentino ma doveva invece essere fondato su solide basi se nello stesso 1890 Negri è nominato membro della Commissione Conservatrice dei Monumenti ed Oggetti d’Arte e d’Antichità per la Provincia di Alessandria, e che deve essere collegato  al più ampio dibattito sulla nascente cultura di conoscenza e tutela del patrimonio culturale piemontese, a cui non erano estranei neppure i contributi dei fotografi più attenti (e basti fare i nome di Pia e Pietro Masoero). Non va inoltre dimenticato -come nucleo di una ipotesi suggestiva- che per Negri un ruolo importante abbia avuto l’incontro con Samuel Butler[7], forse conosciuto nei primi  anni ‘80 in Valsesia in occasione delle prime ricognizioni dello scrittore sui santuari alpini[8], così come  la loro successiva lunga frequentazione, che porterà l’inglese più volte a Casale tra il 1887 e l’anno della morte, il 1902, in compagnia dell’amico e biografo Henry Festing Jones.

“How about your Tabacchetti?”  chiede Butler a Negri in una lettera scritta nei giorni in cui inizia a lavorare a Erewon Revisited,  spedita in accompagnamento alla traduzione in inglese dell’Odissea[9],  a riconferma di una consolidata attenzione per gli studi del casalese, esplicitamente citato anche per l’assegnazione – poi corretta – a Giovanni d’Enrico del gruppo sull’altare nella cappella della Immacolata Concezione a Crea[10],  e lo stesso Negri esprimerà “lode a Samuel Butler il quale, innamorato delle opere del Giovanni [Tabacchetti] ne scrisse a lungo nel suo Ex Voto non solo, ma nello intento di conoscerne il casato e l’origine si portò anche a Dinant” (Negri 1902, p. 65)  consentendo di completare la ricostruzione delle vicende biografiche relative a Jean de Wespin.

Erano state però le ricerche su Martino Spanzotti la sua prima occasione di studio del patrimonio artistico di Crea,  pubblicate nel 1892 col corredo di due riproduzioni in fototipia delle vetrate,  già collocate nelle lunette della sacrestia,  che “in una recente modificazione alle finestre a cui appartenevano da quattro secoli, sfidando l’ira dei tempi e dei Giacobini, non resistettero alla incoscienza artistica dei frati. Spero però che non le avranno gettate via, e vorranno, se le conservano ancora, metterle in qualche modo in vista.”[11] A queste seguirono gli studi su Gugliemo Caccia, figura ben più rilevante per la connotazione complessiva del complesso monumentale del Sacro Monte, pubblicati nel 1895-1896, i cui esiti confluiranno in parte negli studi dedicati a Crea, apparsi in forma definitiva nel 1902 ma sinteticamente anticipati in Crea 1900[12]. Sono questi l’occasione per offrire un panorama esaustivo e finalmente documentato in modo appropriato, con ricerche condotte direttamente sulle fonti  archivistiche e bibliografiche ma anche a partire da una articolata  analisi storico-critica delle opere, a cui fa da preciso riscontro la documentazione fotografica, qui non finalizzata alla costituzione di un repertorio di opere eccezionali come in Pia, ma intesa quale  strumento d’indagine (ben esemplificata dalle decine di riprese, specialmente relative ai gruppi scultorei delle cappelle) e anche, seppure in misura ridotta per esigenze di economia editoriale, di comunicazione, di illustrazione non subordinata al testo bensì a questo complementare, secondo il modello ancora una volta costituito dal saggio dell’amico Butler sugli Ex Voto, corredato da un apparato di illustrazioni che “The Spectator” aveva definito “strange and fascinating” (Holt 1989, p.87).

Proprio la sua segnalazione del Martirio di Sant’Eusebio come “la cappella più importante”  sembra aver orientato l’indagine di Negri che la fotografa ripetutamente per più di un decennio a partire dal giugno 1891, quando utilizza una illuminazione a candele steariche, eseguendo una serie di immagini che varia dalla ripresa d’insieme ai particolari, intesi qui come descrizione analitica non dell’opera ma della scena, che viene presentata nella doppia mediazione dei due strumenti narrativi, con l’intenzione esplicita di restituire visivamente quel “realismo così sano e spontaneo”[13] che tanto lo affascinava nelle opere di Giovanni Tabacchetti, di tradurre fotograficamente quella “disposizione delle persone (…) così naturale, che l’occhio contemplando la scena si sente riposato, la mente serena” nel vedere “una esecuzione capitale non tumultuosa e selvaggia, ma sibbene ordinata da un potere costituito su regole determinate e regolari”, interpretando in senso conservatore il “concetto che ebbe il Tabacchetti, di rappresentare cioè, non un assassinio, bensì l’esecuzione d’un supplizio decretato col rispetto delle forme legali e sanzionato dal potere legalmente costituito.” (Negri 1914, p.44)  Ciò che lo attira al di là del valore artistico dell’esecuzione o – meglio – quale fondamento di questo, è il naturalismo delle movenze e delle posture, la capacità di Wespin di cogliere il gesto significativo, e nelle sue riprese pone  in atto un rispecchiamento tra gesto del plasticatore  e gesto fotografico, entrambi impegnati a rappresentare la scena, declinando l’intenzione documentaria propria della fotografia di riproduzione d’arte secondo una più sottile intenzione che reinterpreta e stravolge la pratica consolidata dei grandi studi quali Alinari o Braun (verso i quali in quegli stessi anni si appuntavano le incisive osservazioni di Wölfflin)  attraverso la cultura visiva propria dell’istantanea fotografica, quel tentativo di rendere l’illusione della vita attraverso l’immobilizzazione del movimento e del gesto che era proprio anche della logica di rappresentazione scultorea.[14]

Omaggio implicito quanto evidente all’amico inglese è anche la tavola di apertura dell’apparato  iconografico dello studio di Negri su Crea che in modo altrimenti inspiegabile si apre con una riproduzione del “Vecchietto”  della Cappella della Deposizione della Croce (XXXIX) di Varallo – oggi attribuita a Giovanni d’Enrico – che Butler considerava la più bella del Santuario ipotizzandone anche una tarda provenienza da Crea[15], per proseguire con una porzione del ciclo di affreschi della cappella di Santa Margherita, fotografati al lampo di magnesio, “scintilla che portava sempre con sé”[16],  e passare quindi ad alcuni dei gruppi statuari più significativi: il Martirio di Sant’Eusebio; la Concezione di Maria, con le due figure dei fondatori conti di Gattinara; la Natività di Maria e l’Annunciazione, per chiudere infine col presunto autoritratto di Tabacchetti, ancora a Varallo. Sono gli stessi soggetti sui quali si eserciterà, come si è detto, anche Secondo Pia con inquadrature sottilmente differenti, più schematiche e immobili, specialmente preziose oggi anche quale documento delle mutate condizioni di conservazione; sono quelle stesse immagini che entreranno a far parte  per lungo tempo del repertorio  iconografico della pubblicistica relativa al Sacro Monte che sempre più nei decenni a cavallo tra i due secoli riconquista quelle attenzioni prima destinate prevalentemente al Santuario.

Così se dal 1891 al 1900, dalla Relazione della Solenne Incoronazione di Damonte ai Brevi cenni storici di Locarni, le prime riproduzioni fotografiche a comparire in volumi dedicati a Crea si limitano a una veduta generale e al prospetto della chiesa, sempre da riprese di Negri, e in Crea 1900 la sola cappella documentata è quella – da poco terminata – della Salita al Calvario, già fotografata da Negri ma qui illustrata con fotografie attribuite a Giovanni Augusto de Amicis, in Crea, 1913, a queste si aggiungono le immagini relative ai rifacimenti ottocenteschi (Sposalizio di Maria Vergine, Presentazione di Gesù al Tempio, Gesù coronato di spine) e si assiste al progressivo accrescimento del corredo fotografico che  assume una forma articolata e complessa ne Il Santuario di Crea, 1914, primo esempio compiuto di guida a più voci corredata di fotografie che illustrano i più diversi aspetti del luogo, dalla statuaria agli affreschi, alle nuove oreficerie, senza dimenticare alcuni esempi di scene di vita e di cronaca (L’incoronazione della Madonna,  5 Agosto 1890) né la discreta presenza dei frati, a cui  è dedicata anche una interessante serie di cartoline edite negli stessi anni.[17]

La successiva occasione editoriale è data dal Congresso Mariano del 1923, per il quale vengono pubblicati sia la “storia popolare” di Padre Francesco Maccono sia “un Album, in veste di lusso, che riproduce i principali monumenti d’arte del Santuario”[18] in quaranta tavole, affidando alle sole immagini la testimonianza del patrimonio artistico e architettonico. Le singole riprese, così come l’Album non portano indicazione d’autore ma sono da assegnare prevalentemente a Negri anche le  immagini nelle quali i gruppi statuari – diversamente da quanto accadeva nel saggio del 1902 –  sono documentati nel loro insieme di opera, con viste grandangolari che li collocano precisamente nello spazio architettonico, restituendo così compiutamente l’approccio complesso dell’autore casalese.

La scelta di affidare alla sola fotografia il compito di illustrare il Sacro Monte costituisce una novità assoluta rispetto alla pubblicistica precedente, certamente favorita dalla positiva  contingenza -anche economica- costituita dal Congresso Mariano ma derivata da una comprensione più profonda e specifica delle potenzialità del mezzo, quella stessa che porta a formulare  “L’idea geniale di fotografare tutti i pellegrinaggi della settimana del Congresso”[19] e di utilizzare in modo sempre più massiccio l’illustrazione fotografica sulle pagine del periodico del Santuario che ha da poco mutato testata.[20]

“Nessuno certo ignora i grandi vantaggi che apporta la fotografia associandosi allo storico fermando sullo strato sensibile di una lastra o pellicola le svariate scene che si svolgono di continuo. Pellegrinaggi, feste tradizionali spingono quassù fiumane di devoti. Schierati sull’ampio piazzale lo riempiono letteralmente e lo spettacolo si consegna alla cronaca in tutta la sua fedeltà numerica.”[21] Questi concetti, espressi nel 1925 sulle pagine del bollettino del Santuario, indicano chiaramente quali fossero le lucide intenzioni e quale l’ispiratore della nuova politica di utilizzazione del mezzo fotografico: Padre Gian Giuseppe Valle (Padre Giovanni), giunto a Crea nel 1922-23[22], la cui passione per la fotografia lo trasformerà ben presto in una delle figure caratteristiche della comunità francescana del Santuario, col “suo vestito trasandato, colla macchina fotografica a tracolla, qua e là per il monte per accontentare i pellegrini o per fissare in una lastra qualche panorama o qualche singolare fenomeno della natura da mettere poi nel Museo.” (Maccono 1936, p.22)

Chiare sono  le  ragioni del suo operare:  la registrazione minuziosa e fedele dei gruppi di pellegrini costituisce testimonianza dell’ampiezza del fenomeno devozionale e -insieme- una ulteriore occasione per rinsaldare il legame tra  fedeli e  luogo in termini modernissimi di comunicazione per immagini attraverso la commercializzazione delle fotografie e la loro pubblicazione sulle pagine del bollettino, per quei lettori sempre più “avidi di figure sensibili”, mentre la documentazione delle opere d’arte, di “questa realtà che sfugge l’occhio di molti visitatori che non spingono lo sguardo dietro le inferriate delle cappelle”[23] ha un ruolo più culturalmente connotato e intrinseco alla diffusione della pratica fotografica sin dalle origini: la formazione di quel “deposito di preziose memorie” che è una delle forme del Museo, specialmente locale.

Qui a Crea, in questa prospettiva si era mosso già Francesco Negri raccogliendo frammenti dei gruppi plastici  negli stessi anni in cui ne andava fotografando il  patrimonio[24], registrandone anche le progressive trasformazioni e impoverimenti;  dopo la sua morte l’impresa viene proseguita “con assidua fatica” proprio da Padre Valle, il quale affianca alla raccolta di reperti quella di immagini fotografiche, per la maggior parte da lui realizzate, non disdegnando però il ricchissimo repertorio delle cartoline,  raccolte in album “che si stanno compilando esaurientemente: vedute del S. Monte (…) dintorni coi suoi attraenti quadri tratti colla telefotografia dai colli remoti (…) splendidi tramonti: scene notturne eseguite al chiaror della molle luce offerta dall’astro minore: la nebbia fitta lambente il limitare del colle eccelso (…).”[25] Il tono lirico e compiaciuto lascia trasparire  l’orgoglio dell’amatore fotografo di formazione pittorialista, sin troppo simile a pagine e pagine di retorica “artistica” pubblicate sui periodici fotografici dell’epoca e specialmente rilevanti in ambito torinese[26], ma anche qui – come a volte accade- la concreta produzione fotografica riscatta i riferimenti di maniera: non solo il progetto complessivo, dai gruppi di pellegrini alla cronaca dei lavori del Santuario, dalla documentazione delle opere d’arte[27] alla vita dei confratelli, dimostra una volontà di restituzione totale, di catalogazione fotografica del mondo che è lontana dalle più estenuate ricerche formali e più strettamente connessa semmai alla tradizione ottocentesca, ma anche quando i temi si fanno più prossimi al repertorio “artistico”, come è per alcune nature morte di fiori e piante e per i paesaggi, lo sguardo si rivela dotato di una propria particolare fisionomia, sempre obliquo e complesso, inatteso, seppure non sempre sostenuto da una adeguata maestria di stampa, lasciando trasparire una concezione del paesaggio come sistema complesso di relazioni tra presenza architettonica ed elementi naturali, ancora una volta con rimandi precisi a Negri ma qui con un impianto compositivo più aggiornato, dove i solidi geometrici delle architetture sono come scomposti, incrinati dalle scritture organiche dei rami e delle loro ombre, in una lettura in cui il gesto fotografico si propone esplicitamente quale atto palese e significante, mai neutra registrazione invisibile e indifferente, non finestra sul mondo ma sua interpretazione mediata, sovente significata dalla presenza di elementi di filtro, quasi di ostacolo ad una visione presunta naturale, posti in primissimo piano, ad indicare la fisicità di una presenza, a storicizzare metaforicamente l’atto del guardare per vedere.

È questa consapevolezza che lo fa sentire – pur nel suo francescanesimo –  orgogliosamente diverso da quella “pleiade di [inetti] dilettanti muniti di un apparecchio fotografico” che per “carpire un lembo di questo suolo storico, un panorama più o meno ampio (…) una comitiva”, hanno invaso  gli spazi occupati dai venditori ambulanti solo cinquant’anni prima.

 

 

Note

[1]La cartella di fotografie relative a Chiese della provincia di Alessandria, conservata presso la Biblioteca Reale di Torino, M-XXVIII (1-45, nn. 24-26) a cui pervenne verosimilmente a chiusura della Esposizione Generale Italiana di Torino del 1884, comprende immagini prevalentemente di V. Ecclesia (Casale: S. Evasio; Cortazzone: S. Secondo; Crea: Santuario; Vezzolano: S. Maria;  Asti: Cattedrale, S. Giovanni, S. Pietro, torre di S. Secondo; Bagnasco: cappella del cimitero; Albugnano, cappella del cimitero; Montechiaro d’Asti:S. Nazario;  Moncucco: castello) a cui si aggiungono quattro immagini dovute a Carlo Migliore di Casale Monferrato, relative alla chiesa di San Domenico. Sono tutte stampe all’albumina virate all’oro in formato 30×40 circa montate su cartoni 50×65 circa.  Per quanto riguarda le immagini di Ecclesia la presenza sul supporto secondario dell’indirizzo di Asti, via San Martino 19, prima sede locale dello studio, consente di datare le immagini al periodo 1878/80, realizzate forse poco dopo l’Album artistico della città di Asti/ 1878, cfr. Fotografi del Piemonte, pp.29-30, tavv.XXVIII, XXIX; per una corretta ricostruzione e datazione delle vicende professionali di Ecclesia cfr. Claudia Cassio, ad vocem, in Miraglia 1990.

[2] Sulla figura e l’opera di S. Pia, che meriterebbe ancora uno specifico approfondimento, si vedano Tamburini, Falzone Barbarò 1981;   Falzone del Barbarò, Borio 1989 ed i più recenti cataloghi di mostre prodotte in concomitanza con l’ostensione torinese della Sindone: L’immagine rivelata 1998; Secondo Pia fotografo della Sindone 1998.

[3]Per un confronto e per una verifica della diffusione di questo stereotipo rappresentativo, evidentemente connesso anche ad una economia di rappresentazione, essendo il punto più favorevole per mostrare l’insieme, si rimanda alla bibliografia generale, segnalando qui due sole eccezioni costituite dalla veduta acquerellata compresa nella Descrizione dei Santuari del Piemonte, 1822 (cfr. Castelli, Roggero 1989, p.20)  e dall’incisione in antiporta a Tarra 1890, forse derivata dalla prima, entrambe con vista da sud-ovest e significativa modificazione delle relazioni orografiche necessaria per accentuare la presenza del santuario;  operazione evidentemente impossibile con i vincoli proiettivi geometricamente determinati propri della successiva produzione fotografica.

[4]Dal confronto tra il  “Regesto autografo delle Campagne di Secondo Pia” (cfr. Tamburini, Falzone Barbarò 1981, pp.55-58) e le immagini reperite nel corso della presente ricerca si ricava la seguente cronologia delle riprese:

15-09-1885, Panorama.

21-08-1888, Tavola di Guglielmo Fava detto Macrino;

25-08-1888, Cappella di Santa Margherita, affreschi. A questa data gli affreschi erano appena stati scoperti (cfr. Giorcelli 1900, pp.5-6)

1890, Immagini o documenti non reperiti

23-06-1893, ConfessionaleDipinto in stucco rapp.te Madonna col bambino con iscrizione.

15-10-1898, Due tavolette [ritratti di Lodovico di Saluzzo e della moglie Giovanna di Monferrato]; San Bernardo, affresco di G.Caccia detto il Moncalvo.

25-10-1902, Statua od erma antica della Madonna.

26-10-1902, Facciata della chiesa – stile dorico; Interno della chiesa;  Cappella I: Martirio di Sant’Eusebio; Vetri dipinti nella sacrestia a forma di lunetta.

12-10-1909, Crea [Veduta del Santuario scorciata dal basso], autocromia.

25-10-1909, Pianeta donata da Pio V; Reliquia del piede di S.Margherita; Ostensorio istoriato.

1909-1910, Tavola Macrino d’Alba, autocromia.

30-03-1910, Casale – pianeta di Crea santuario [pianeta donata da Pio V], autocromia.

1913, Immagini o documenti non reperiti

11-09-1919, Cappella IV, Concezione di Maria Vergine; Cappella V, Natività di Maria; Cappella VIII, Annunciazione di Maria Vergine, particolari dei gruppi dell’Eterno e di Giuditta.

Salvo diversa indicazione si tratta di riprese effettuate con lastre alla gelatina-bromuro d’argento nei formati dal 13×18 al 24×30 e quindi stampate per contatto su carte all’albumina o al citrato, successivamente montate su cartoni corredati di annotazioni autografe. Le stesse stampe venivano successivamente rifotografate per ricavarne piccole riproduzioni da inserire nelle schede analitiche che costituivano la struttura finale del sistema archivistico di Pia. Tali schede, confluite nel Fondo Pia della Confraternita del SS. Sudario di Torino, riportano la sigla di collocazione della relativa stampa a contatto, la numerazione progressiva della scheda; localizzazione, titolo  ed eventuali misure dell’oggetto fotografato corredate di sintetiche notizie storico-critiche; data, formato e collocazione del negativo di ripresa.  Prive di schede di riferimento sembrano essere invece le autocromie. Una elencazione  dei diversi fondi fotografici  di Pia  è stata recentemente fornita da Boschiero 1998,  ma a parziale integrazione di quanto indicato si deve ricordare che presso la Biblioteca Reale di Torino oltre all’album dedicato a Vittorio Emanuele III (1919?) è conservato anche un album precedente, datato 1907, dedicato a “A S.M. la Regina Madre Margherita di Savoia” relativo a Ricordi fotografici di insigni monumenti religiosi del Piemonte, entrambi con immagini relative a Santa Maria di Vezzolano e a Sant’Antonio di Ranverso, cfr. Cavanna 1997.  La notorietà e autorevolezza della sua opera così come l’estesa rete di relazioni con informatori e studiosi fa però sì che immagini di Pia siano presenti  in sedi e collezioni diverse, pubbliche e private, non sempre note. Per l’interesse relativo a questa ricerca segnalo il piccolo album, conservato presso la Biblioteca Civica di Casale Monferrato e verosimilmente proveniente dal lascito Negri: Secondo Pia,  Affreschi della Cappella di S.Margherita di Antiochia nell’Abbazia di Crea Attribuiti a Cristoforo Moretti di Cremona, [1900ca], quattro pagine, copertina cartonata rossa con impressioni in oro; contiene tre stampe [manca la ripresa relativa alla volta] all’albumina virate all’oro, cm.20x25ca, con  timbro a secco: “Secondo Pia/ Torino” in basso a sinistra. Nonostante la classificazione di “Monumento Nazionale” negli anni a cavallo tra i  due secoli il Sacro Monte di Crea non è ancora entrato a far parte del panorama “ufficiale” del patrimonio artistico ed architettonico piemontese, tanto che gli operatori degli Alinari inviati nella nostra regione nel 1898 non lo comprenderanno nel proprio itinerario di lavoro, nel quale sono invece compresi il Sacro Monte di Varallo (14 settembre) e quello di Orta (18 settembre), cfr. Sansoni 1987. Neppure nella successiva campagna del 1912  Crea sarà compresa nel loro repertorio (cfr. Alinari 1925) mentre alcune riprese erano state effettuate dall’Istituto Italiano di Arti Grafiche di Bergamo.

[5]Luigi Gabotto 1925b; questo testo, estratto dalla commemorazione ufficiale tenuta a Crea il 28 maggio, fa seguito ad un primo necrologio pubblicato a febbraio (Gabotto 1925a).  I legami tra i due personaggi e la comune passione per questi luoghi sono ricordati nella dedica  autografa “All’avvocato Francesco Negri/ che mi ha fatto conoscere ed / amare Crea” con la quale Gabotto  accompagna il proprio volume del 1924 corredato di  foto Negri e dei “Frati di Crea” (Padre Giovanni). Sul fotografo casalese, membro della Commissione Conservatrice dei Monumenti ed Oggetti d’Arte e d’Antichità per la Provincia di Alessandria dal 1890 e Ispettore agli Scavi e Monumenti dal 1907 (Bencivenni, Dalla Negra, Grifoni 1992, pp. 253-268)  si vedano Colombo 1969; Greco 1969. A conferma della funzione di laboratorio svolta complessivamente da Crea ricordiamo che nel Fondo Negri della Biblioteca Civica di Casale Monferrato (BCCM/FN) sono conservate le riprese di selezione e le singole gelatine colorate necessarie alla realizzazione di alcune riprese per tricromie qui realizzate, datate 1904 (BCCM/FN, B14) poi non completate.

[6]Per una ricostruzione delle vicissitudini dell’eredità Negri rimando a Cavanna 1991; Id. 1992.

[7]Per Samuel Butler cfr. Festing Jones 1920; Durio 1940; Holt 1989.

[8] La  lunga e amorevole consuetudine di Bultler  con l’Italia  induce nel 1880 il suo editore a offrirgli 100 sterline per la realizzazione di un libro illustrato sul nostro paese; il manoscritto è completato entro la metà dell’anno successivo ma il testo viene rifiutato e sarà pubblicato a spese dell’autore nel 1882,  corredato di disegni ricavati sia da fotografie eseguite da autori locali come Vittorio Besso (per il cortile superiore di Oropa, ad esempio) sia da schizzi dal vero. Da questa rassegna era stato volutamente escluso il Sacro Monte di Varallo che Butler considerava il più importante dei santuari dell’Italia settentrionale e al quale si riprometteva di dedicare uno studio specifico, anche su precisa sollecitazione di Dionigi Negri, segretario comunale a Varallo e in contatto con lo  scrittore sin dalle sue prima vacanze valsesiane nell’agosto del 1871. Per meglio affrontare lo studio di questo complesso Butler moltiplica i propri soggiorni italiani, estende le ricerche su Tabacchetti a Casale Monferrato (dove si reca nel settembre del 1887 da Ivrea, provenendo da Alagna dopo essere disceso a Gressoney attraverso il Col d’Olen), e prende lezioni di fotografia per poter utilizzare questo nuovo strumento documentario sia in fase di studio sia in occasione della pubblicazione (Butler 1888, con 21 tavole f.t. da fotografie dell’autore). L’edizione italiana riveduta e ampliata, tradotta da Angelo Rizzetti, amico varallese di Butler, latinista, benemerito CAI, che nel 1897-98 contribuì economicamente al restauro della Chiesa della Madonna di Loreto presso Varallo, venne pubblicata a Novara nel 1894 dalla Tipo-Litografia dei Fratelli Miglio dopo che il volume era stato rifiutato dagli editori milanesi Treves e Hoepli, con una titolazione semplificata (Ex Voto. Studio artistico sulle opere d’arte del S.Monte di Varalo e di Crea) e con un apparato iconografico lievemente ampliato. La consuetudine della documentazione fotografica rimarrà immutata anche nei decenni successivi  e nel 1891 Butler realizzerà alcune immagini relative a Crea: “Prendo l’occasione del nuovo anno per mandarle alcune fotografie prese a Crea mentre l’estate passato (sic). Lei vedrà subito che alcune sono cattivissimi restauri, furono fatti 30 anni fa da un certo padre Latini”, scrive ad Arienta il 31 ottobre 1891 (Durio 1940, p.86).

[9]Datata 5 novembre 1900, è pubblicata in facsimile in Greco 1969, p.24. La stima di Butler per lo studioso casalese è chiaramente espressa in una lettera a Giulio Arienta del 31 ottobre 1891: “Quel prete Don Minina ed il cav. Avv. Francesco Negri sono i più attivi, e cercano dappertutto con zelo molto forte e molto intelligente (…) so d’ogni modo che l’avvocato Negri è uomo di ottimo giudizio in questi affari.” (in Durio 1940, p.86). Quale concreto segno di  stima Butler  finanzierà la realizzazione dei cliché fotografici a corredo del saggio di Negri sul santuario di Crea (Negri 1902, p.76). Le lunghe frequentazioni tra i due sono  documentate anche  da una lastra 13×18 in cui sono ritratti Butler e Festing Jones nel giardino di casa Negri a Casale (BCCM/FN, sc.B20) e da una ripresa stereoscopica datata 1898 (BCCM/ FN, sc.E13) in cui i due inglesi sono ritratti a Camino insieme a Cesare Coppo, amico comune i cui congiunti (la moglie e il figlio Angelo) visiteranno Butler a Londra proprio nel 1900.  Dopo la  morte di Butler (18-6-1902) gli esecutori testamentari H.Festing Jones e R.A. Streatfield doneranno a Negri uno schizzo a olio eseguito dallo scrittore nel 1871, in occasione del suo primo soggiorno a Varallo, “Preso dalla soglia della chiesa dell’Assunta” (Durio 1940, p.22, nota 3).  Prima di tradurre in inglese l’Iliade (1898) e l’Odissea  (1900) Butler aveva pubblicato The Authoress of the Odissey London: Longmans, 1897, libello nel quale sosteneva che l’autrice fosse una sacerdotessa trapanese che si nasconde nel racconto nel personaggio di Nausicaa: “un altro modo di dare l’assalto al mito, di riportare l’opera dell’uomo sul piano disincantato, casalingo, irritante e libero del reale.” (Drudi Demby 1993).

[10]Butler 1888 (trad. it. 1894, p.299). In Negri 1902, p.43 l’opera è  attribuita a Paolo Giovenone.

[11]Negri 1902, p.33. Nello stesso anno erano state fotografate da S. Pia, vedi Nota 4. Le due vetrate, che nel 1914 si trovavano nei locali della Amministrazione del Sacro Monte,  passarono poi ai Musei Civici di Torino.

[12]Crea 1900, numero unico del “Corriere di Casale”, 8-9-10 ottobre 1900, pubblicato in occasione del pellegrinaggio diocesano al Santuario di Crea, con brevi scritti di F. Negri, G. Giorcelli, F. Valerani et alii. Il fascicolo costituisce il primo esempio di quella lunghissima serie di pubblicazioni ibride, tra  foglio devozionale e  guida turistica, che verranno pubblicate a Crea nei decenni successivi, sovente senza variazioni sostanziali di contenuto né testuale né iconografico. Limitatamente a quelli in cui compaiono diverse edizioni del testo di Negri ricordiamo: Pel pellegrinaggio a Crea. Nel Giubileo dell’Immacolata. CasaleMonferrato: Tip. G. Pane, 1904;  Crea. Guida Storico-artistica. Casale Monferrato: Tip. Massaro, 1908;  Crea. Storia -Cronologia – Arte – Culto. Casale Monferrato: Tip. Editrice Ditta G. Pane, 1913; Il Santuario di Crea. Guida storico-artistica edita in occasione delle feste dell’anniversario della nuova Incoronazione. Crea 2-3 agosto 1914. Casale Monferrato: Tip. G. Pane, 1914. Lo stesso Negri ritornerà su questi temi  in una conferenza per l’Unione Escursionisti di Torino tenuta nel 1908, cfr. Negri 1908, corredandola – come era allora consuetudine – di diapositive che verosimilmente corrispondono a quelle oggi conservate nel Fondo Valle del Parco Regionale di Crea.  Per il ruolo sociale e culturale svolto dall’Unione Escursionisti cfr. Garimoldi 1996.

[13]Negri 1902, p.36 e segg. Le riprese più tarde (BCCM/FN, B13-9, B8-5) vennero realizzate ben oltre la pubblicazione di questo testo, nell’agosto del 1904 dopo i restauri condotti da Bigoni.

[14]Per le suggestive relazioni tra scultura e fotografia cfr. Pygmalion Photographe 1985; Sculpter-Photographier. Photographie-Sculpture 1991; Skulptur in Licht der Fotografie 1998.

[15]”Io son quasi d’opinione che il Vecchietto viene da Crea” scrive ad Arienta il 14 ottobre 1888 (Durio 1940, p.60). Alcuni studiosi di Butler (Hotl 1984, p.85) sostengono che il fascino esercitato da quest’opera possa essere meglio compreso se la si considera come una possibile “incarnazione” del vecchio John Pontifex, il  capostipite della famiglia protagonista del romanzo autobiografico The Way of All Flesh  (trai. it. Così muore la carne, a cura di E. Giachino. Torino: Einaudi, 1939) scritto tra 1872 e 1884 ma pubblicato postumo nel 1903.  Molte delle affermazioni e opinioni di Butler verranno ben presto  confutate proprio da Giulio Arienta, col quale egli ammetterà onestamente di “aver fatto tanti errori che ora non posso correggere” (30 giugno 1896) e di dover fare “modificazioni assai gravi nelle opinioni riguardo alle cappelle del Sacro Monte” (21 marzo 1896) (cfr. Durio 1940, pp.112-113). L’immagine pubblicata in Negri 1902, tav.1 si discosta parzialmente dalla ripresa per un diverso taglio della figura e per un tono generale più scuro, che la isola dal contesto.

[16] “Lo rivedo ancora nella buia cappella (…) a rivelarmi  le bellezze in essa racchiuse mediante il lampo del magnesio.” (Gabotto 1925b, p.82)

[17]Il volume ripropone sostanzialmente invariati i due saggi del Canonico Prof. Evasio Colli, parroco di Occimiano, poi vescovo di Acireale,  e di Francesco Negri, già pubblicati l’anno precedente nel “Numero unico” edito dalla tipografia G. Pane di Casale, che nello stesso 1914 pubblica a firma degli stessi autori  e con un apparato fotografico dovuto al sacerdote vercellese Alessandro Rastelli, Il B.Oglerio nella storia e nell’arte di Trino e di Lucedio (nuova ediz. Trino: Circolo Culturale Trinese, 1996, con introduzione di P. Cavanna) singolare volume in cui il tema apparentemente agiografico si risolve in un contributo storiografico (Colli) intriso di propaganda sociale e politica fortemente influenzate dalla Rerum Novarum di Leone XIII, proprie anche di altri titoli dello stesso editore-tipografo (La Lega Internazionale dei Lavoratori spiegata al popolo), in accurate e innovative ricerche su temi di storia dell’arte locale (Negri) e in un corretto apparato fotografico dovuto ad un sacerdote dilettante fotografo.

Le prime  cartoline in cui sia registrata la presenza dei frati, comunemente ritratti in meditazione o in preghiera affacciati al pronao della cappella della Salita al Calvario o a quella del Paradiso secondo uno schema iconografico inaugurato intorno al 1865 da Giorgio Sommer con la sua veduta di Amalfi dal Convento dei Cappuccini (cfr. Palazzoli 1981, tav.45; Miraglia, Pohlmann 1992), erano edite dalla stessa ditta Pane, da A.Tabusso e dalle Sorelle Capra di Crea, mentre quelle più tarde (1930ca) sono pubblicate da Fotografia e Arti Grafiche, via Garibaldi 3, Torino, di Guido Cometto,  intimo amico di Padre Giovanni del quale realizzerà anche due intensi ritratti. Alla crescente diffusione della cartolina illustrata è dedicata una breve riflessione nel bollettino del Santuario in cui  dopo averla definita “Simpatica messaggera dei vari sentimenti dell’animo nostro [che] parla al cuore di chi è inviata con una sintesi meravigliosa”  così prosegue: “Ma ahimè, che in mezzo a tanta dovizia di cartoline belle e morali, ne insorgano altre laide e oscene, allettatrici di sensuali istinti forniti di insani desideri (…) Oh! Facciamo una guerra spietata a questa immonda messaggera di Satana” (Passiflora 1922).

[18] Maccono 1923;  Santuario di Crea. Album, 1923.

[19]Nota della Direzione 1923, che così prosegue: “Annunziamo ora che teniamo a disposizione un forte stock di fotografie formato cartolina a L.0,50 l’una. Coloro che desiderano la fotografia del proprio pellegrinaggio si rivolgano alla Direzione di questo periodico indicando il numero di cartoline che desiderano.”  Foto di gruppo di pellegrini erano però già state pubblicate nel 1922.

[20]Col 1 gennaio 1922, a.XIV, n.1 la vecchia denominazione di “Maria. Bollettino del Santuario di Crea”  muta in “La Madonna di Crea. Periodico del Santuario di Crea” e si inizia ad utilizzare la fotografia, prima completamente assente, per modernizzare un canale di comunicazione che fosse strategicamente adeguato a quegli anni cruciali.

[21]P.G. [Padre Giovanni Valle]  1925, p. 69; il testo venne ripubblicato con lievi varianti testuali in Valle 1926.

[22]Padre Giovanni Giuseppe della Croce, questo il suo nome di religioso (Mazzè: 13-5-1872 / Crea: 16-1-1936) inizia a fotografare nei primi anni del Novecento quando è Guardiano al Santuario di Belmonte nel Canavese (1901-1904) e prosegue questa sua attività specialmente a Crea, dove giunge secondo Maccono 1936, nel 1923 ma la data va anticipata di almeno un anno come confermano alcune riprese da lui realizzate  e specialmente l’Album artistico di Crea/ 1922 da lui composto che costituisce il modello della pubblicazione edita nel 1923 (cfr. Nota 17). Anche Luigi Gabotto lo ricorderà affettuosamente con “la sua macchina fotografica, curiosa scarabattola (…) Con la sua rustica cesta fratesca, il cavalletto sotto braccio, la bisaccia a tracolla [che] scalava i colli, si arrampicava sulle piante o su palchi di fortuna senza badare a pericoli ed alla sua povera tunica, pur di trovare un punto di vista e una luce perfetta.” (Gabotto 1936) traducendo in parole l’immagine bonariamente caricaturale, testimoniata da una riproduzione fotografica conservata nei depositi del Museo di Crea,  che di lui ci ha lasciato Carlo Pintor, pittore e restauratore sardo che risulta attivo – come mi ha segnalato Maria Carla Visconti, che ringrazio – nella “Cappella Reale” della Natività di Maria nel 1935 (SBAAP, Archivio corrente, Serralunga di Crea – Santuario).  Padre Giovanni costituisce sinora l’esito più interessante del fenomeno di diffusione della pratica fotografica amatoriale che si registra tra il clero nel  Piemonte centro-orientale (senza dimenticare la presenza torinese di Don Eugenio M. Casazza) nei primi decenni del secolo, che annoverava sinora i nomi di F. Origlia e A. Rastelli entrambi a loro volta in relazione con F. Negri, col canonico Colli e con le edizioni Pane di Casale Monferrato (cfr. Nota  16), secondo una trama di rapporti e intenzioni  culturali ancora tutta da indagare che comprendeva certamente anche Secondo Pia e viveva sotto il segno di un rinnovato interesse della chiesa e del clero per la fotografia – apprezzata da Leone XIII – dopo le riprese della Sindone nel 1898,  ma anche, per quanto riguarda la diffusione delle immagini fotografiche, del modello salesiano, la cui tipografia torinese si era dotata sin dal 1877 di un laboratorio per il trattamento e la stampa delle fotografie (Marchis 1989, pp.230) diretto da Carlo Antonio Ferrero, già titolare a Torino di un Emporio Fotografico specializzato in fotografia scientifica.

[23]Valle 1925, p.69. Questo accenno significativo allo sguardo “distratto” dei visitatori, che non sembrano interessati proprio agli elementi narrativi della macchina teatrale del Sacro Monte (tantomeno al loro valore artistico) ribadisce la centralità del problema delle strategie comunicative messe in atto dal discorso delle cappelle.

[24]Ibidem.  Il ruolo svolto da Negri nella ideazione e prima strutturazione del Museo del Sacro Monte, curiosamente dimenticato dagli stessi necrologi redatti da Gabotto (cfr. Nota 5)  è confermato dal medaglione con lapide commemorativa posto nell’atrio del museo: “ In memoria di / Francesco Negri / che illustrò Crea tanto amata / nei suoi ricordi gloriosi / Nella realtà fulgida di sue naturali bellezze / Gli amici tutti con affetto / Anno 1929”.  Poiché sappiamo da Gabotto 1925, che Negri si era recato a Crea per l’ultima volta il 16 ottobre 1921, vale a dire prima dell’arrivo di Padre Giovanni, dobbiamo supporre che la conoscenza tra i due e il volontario ruolo di prosecutore svolto dal francescano si fondassero su di un rapporto precedente e consolidato  che potrebbe essere fatto risalire al 1899-1901, quando Padre Giovanni era Maestro dei Chierici di Casale,  senza dimenticare però che egli si recava occasionalmente a Crea anche prima di stabilirvisi, come dimostra una sua immagine della cappella del Paradiso datata 19 febbraio 1920 (A9/8).

[25]Valle 1925, p.69. La parte più consistente dell’archivio fotografico di Padre Valle oggi costituisce il fondo omonimo conservato presso la sede del Parco del Sacro Monte di Crea. In attesa di una specifica catalogazione, una sommaria  ricognizione consente di definirne in prima approssimazione la consistenza:  4000ca negativi su lastra e pellicola alla gelatina-bromuro d’argento, nei formati dal 6,5×9 al 18×24, questi ultimi forse da attribuire a Francesco Negri, al quale vanno assegnate anche i 110ca positivi su vetro per proiezione, alla gelatina-bromuro d’argento, nel formato 8,5×10 la cui presenza è connessa all’idea “di far contemplare sullo schermo con nitide proiezioni il complesso storico ed illustrativo di Crea” (Valle 1925, p.70). I circa 1500 positivi (in prevalenza al bromuro e clorobromuro d’argento, in formati compresi tra il 9×12 e il 24×30) sono stati raccolti dallo stesso Padre Giovanni in 10 album insieme ad alcune centinaia di cartoline tipografiche e ad alcune stampe all’albumina ancora di F. Negri, a volte con annotazioni autografe al verso. Le date di esecuzione sono comprese tra 1890ca e 1910ca per Negri e 1920-1935 per Padre Giovanni. Un più ridotto numero di positivi (alcune decine) è stato individuato nel corso di questa ricerca anche tra gli eterogenei materiali conservati nel Museo del Santuario tra i quali si trovano anche alcuni apparecchi fotografici a soffietto da viaggio, un apparecchio fotografico tipo folding e uno tipo box oltre a cinque obiettivi, piastre portaottica e otturatori  che per tipologia ed epoca di costruzione avrebbero potuto appartenere a Francesco Negri, sebbene la loro utilizzazione da parte di Padre Giovanni sia parzialmente documentata da una fotografia datata 1928ca, oggi in collezione privata. Se ricerche successive dovessero confermare la provenienza di questi materiali, si tratterebbe di un ritrovamento di grande rilevanza per la comprensione dei modi operativi di Negri, del quale – come è noto – ben pochi strumenti e apparecchi sono conservati nel Fondo della Biblioteca Civica di Casale Monferrato.

[26]La nascita e lo sviluppo delle tendenze “artistiche” nell’ambiente fotografico torinese nei primi decenni del nostro secolo sono ormai ampiamente studiati,  cfr. Luci ed Ombre, 1987; Costantini 1990; Miraglia 1990; Fotografia luce della modernità 1991; Mario Gabinio 1996.

[27] “La maggior parte delle fotografie che illustrano questo studio mi vennero offerte dal dott. Vittorio Viale, direttore dei Musei Civici di Torino, e dal padre Gian Giuseppe Valle del Santuario di Crea.” (Gabrielli 1934, p.5, nota 1); mentre l’autrice parla di foto “offerte”,  la recensione comparsa sul periodico del Santuario di Crea sottolinea come “le fotografie che riguardano la Cappella sono opera del nostro ben conosciuto ed amato P. Gian Giuseppe Valle.”  (Recensione 1935, p.27)

 

 

 

Bibliografia citata

 

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Fotografi del Piemonte 1852-1899: Duecento stampe originali di paesaggio e di veduta urbana, catalogo della mostra (Torino, Palazzo Madama, giugno-luglio 1977) a cura di Giorgio Avigdor, Claudia Cassio, Rosanna Maggio Serra. Torino: Città di Torino – Assessorato per la Cultura – Musei Civici, 1977

 

Fotografia luce della modernità 1991

Fotografia luce della modernità: Torino 1920/1950, dal pittorialismo al modernismo, catalogo della mostra (Torino, Museo dell’automobile Carlo Biscaretti di Ruffia, 10 ottobre-17 novembre 1991) a cura di Michele Falzone del Barbarò, Italo Zannier, saggio storico di Valerio Castronovo. Firenze: Alinari, 1991

 

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Padre Francesco Maccono, Il Santuario di N.S. di Crea nel Monferrato. Storia popolare. Casale Monferrato: Tip. Miglietta, 1923 (II edizione riveduta e corretta, Casale Monferrato: Tip. di Miglietta, Milano e C. – Succ. Cassone, 1931)

 

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Nota della Direzione 1923

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Palazzoli 1981

Daniela Palazzoli, a cura di, Giorgio Sommer fotografo a Napoli. Milano: Electa, 1981

 

Passiflora 1922

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Recensione 1935

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Sansoni 1987

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Sculpter-Photographier 1993

Sculpter-Photographier. Photographie-Sculpture, atti del convegno (Parigi, Museo del Louvre, 22 – 23 novembre 1991), Michel Frizot, Domique Païni, dir. Paris: Musée du Louvre – Marval, 1993

 

Secondo Pia 1998

Secondo Pia fotografo della Sindone, pioniere itinerante della fotografia : immagini di Asti e dell’Astigiano , catalogo della mostra (Asti, Archivio storico del Comune, Palazzo Mazzola, 20 maggio-30 settembre 1998), a cura di Gemma Boschiero.  Asti: Comune di Asti, 1998

 

Sertorio Lombardi 1978

Sertorio Lombardi Cristina , a cura di, Il Piemonte antico e moderno delineato  e descritto da Clemente Rovere. Torino: Società Reale Mutua Assicurazioni, 1978

 

Skulptur im Licht der Fotografie 1997

Skulptur im Licht der Fotografie: von Bayard bis Mapplethorpe, catalogo della mostra (Wien,  Museum Moderner Kunst Stiftung Ludwig, 1997), hrasg. Erika Billeter. Bern : Benteli, 1997

 

Tamburini, Falzone Barbarò 1981

Luciano Tamburini, Michele Falzone Barbarò, Il Piemonte fotografato da Secondo Pia. Torino: Daniela Piazza Editore, 1981

 

Tarra 1890

Giulio Tarra, Il Santuario di Crea. Torino: Tipografia dell’Ateneo, 1890

 

Valle 1925

P.G. [Padre Giovanni Valle], Crea nella fotografia, “La Madonna di Crea”, 17 (1925), n.6, giugno, p. 69

 

Valle 1926

  1. Giovanni Valle, “L’arte fotografica a Crea, in La Fiorita di Crea, a cura dei PP. Francescani del Santuario. Casale Monferrato: Tip. Succ. Cassone, 1926, pp.275-279

Quoi? La Photographie  ovvero  La carriera di un dilettante fotografo (2006)

in Barbara Bergaglio, P. Cavanna, a cura di, Francesco Negri fotografo: (1841-1924).  Cinisello Balsamo: Silvana, 2006, pp. 14-29;  La biblioteca del fotografo, estratto da Francesco Negri e la Biblioteca civica di Casale Monferrato, “AFT – Rivista di Storia e Fotografia”, 6 (1991), n.14, pp. 61-63

 

La lastra fotografica è la vera retina dello studioso

Jules César Jansen, 1888

 

 

Cappello e soprabito sull’attaccapanni, forse appena appesi, come se fosse rientrato da poco in questo angusto spazio ricolmo di carte che fu il suo studio. Una fotografia disposta con noncuranza apparente sulla stufa in ceramica, una stampa di paesaggio se la nitidezza della ripresa non ci tradisce, ci consente di datare questa  stereoscopia all’ultimo decennio dell’Ottocento, quasi certamente dopo il 1896, quando la consuetudine di Negri con la fotografia datava ormai da almeno un trentennio e la fase delle applicazioni e sperimentazioni più strettamente scientifiche poteva ormai dirsi conclusa.

Per quanto è possibile desumere dallo studio dei documenti fotografici e archivistici rimasti a costituire il fondo Negri della Biblioteca civica di Casale Monferrato, ambito necessariamente ristretto su cui è stata condotta la ricerca, possiamo far risalire  al luglio del 1862 il primo indizio certo del suo interesse per la fotografia.[1]  In quei giorni il giovane Negri, poco più che ventenne e appena trasferitosi a Casale, poneva un’annotazione a matita sulle pagine del volume di Eugène Disderi, L’art de la photographie[2], uno dei manuali più autorevoli dell’età del collodio, attento alle questioni poste dal ritratto fotografico, ad un esito di rassomiglianza che andasse oltre la pura resa fisiognomica, quella cui pure l’autore doveva la propria notorietà di inventore del ritratto in formato carte-de-visite.

Conosciamo ancora troppo poco la storia della fotografia a Casale Monferrato[3] per sapere se Negri avesse potuto trovare localmente suggestioni e sostegno alla propria passione nascente o se questi non gli provenissero invece dal soggiorno torinese, dove si era laureato in giurisprudenza nel 1861, ambiente in cui era stata precocemente praticata la fotografia sin dal fatidico 1839, divenuta ben presto attività fiorente e diffusa per la presenza di numerosi e qualificati studi professionali come di amatori colti[4], nobili o borghesi che fossero, coi quali certamente non possiamo escludere possibili relazioni legate all’ambiente universitario.

Ciò che risulta però chiaro è come l’attenzione fosse da subito sistematica e precisamente orientata se già nel 1864  il novello sposo[5] risultava abbonato non solo alla prima rivista italiana di settore, “La Camera Oscura. Rivista periodica universale dei progressi della fotografia” diretta a Milano da G. Ottavio Baratti”, ma anche a prestigiosi periodici internazionali come “The Philadelphia Photographer”, mentre la sua biblioteca si arricchiva di  preziosi manuali[6].

Risaliva ai primi di settembre dell’anno precedente la sua più antica ripresa datata, una lastra al collodio[7]  che oltre all’indicazione del giorno (“1863 5 sett.”)  e alla sigla “N.F.” porta inciso il numero d’ordine «44», ad inaugurare una consuetudine tipica di molti fotografi coevi cui Negri restò fedele sino agli ultimi anni di attività[8]. È  l’immagine di tre figure in esterni, due donne e un uomo seduti, tutti con fucili da caccia, realizzata forse a Ramezzana, una delle grange dell’abbazia di Lucedio (Trino)[9]. Non si tratta quindi di un ritratto vero e proprio, anzi si potrebbe quasi parlare di un’istantanea ante litteram, ma per noi costituisce la testimonianza di come il suo primo interesse fosse rivolto alla figura umana, colta inevitabilmente nella  cerchia di relazioni personali, come fu per molti dei fotografi amatori delle origini.

Sebbene non datati, sono da collocarsi nello stesso periodo di tempo gli splendidi ritratti eseguiti in interni, fortemente influenzati dai coevi modelli professionali e in particolare fedeli alle istruzioni del già citato testo di Disderi,  che indicava come “la prima cosa che deve fare il fotografo che desidera ottenere  un buon ritratto, sia di penetrare (…) il tipo reale e il vero carattere dell’individuo; lo si deve studiare e conoscere [si deve] comporre il ritratto, in una parola. Comporre un ritratto, per noi, vuol dire scegliere le modalità di rappresentazione più adatte al modello e combinare tutti gli elementi visibili in maniera unica.”[10]

Questa ascendenza è ancor più evidente nelle riprese a figura intera, col soggetto disposto di tre quarti, in pose rigorose e ferme e un uso degli arredi che ricalca la disposizione tipica delle carte-de-visite del francese, con un tendaggio collocato come quinta di chiusura a sinistra, mentre in altri casi l’utilizzazione di elementi tipici quali la balaustra posticcia, farebbe pensare alla collaborazione di un professionista casalese per ora non individuato, lo stesso che potrebbe averlo istruito nella sua prima fase di formazione.

Non mancano neppure le riprese in esterni, forse di poco antecedenti, per le quali Negri ricorreva a un’improvvisata scenografia fatta di pochi elementi (un fondale uniforme appena mosso da un tendaggio poggiato, un tappeto, l’immancabile poltrona)[11], mentre altre  ne sono completamente prive e tutta l’attenzione è rivolta all’efficace rappresentazione della persona, traducendo in figura il rapporto di colloquialità che lo legava al soggetto, analogo a quello che emerge – seppure in maniera più sottile – dalla bellissima serie di ritratti in interni in cui la non convenzionalità della rappresentazione è testimoniata più che dalla posa dalla presenza di arredi non stereotipati, certamente appartenenti all’ambiente quotidiano del fotografo.

Sono ritratti che sembrano dar corpo ai più alti esiti attesi dal nuovo realismo del mezzo fotografico, a quella “ricerca di assoluto verismo” di cui ha parlato Carlo Bertelli[12]. Sono indizi certi di una fiducia tutta positiva nelle sue capacità di descrizione analitica, di traccia del reale, ma alcuni indizi ci orientano verso una convinzione più incerta. Penso alla coppia costituita dall’Autoritratto con lo stereoscopio  e dal Ritratto della moglie  con una rivista fotografica in grembo, che assumono un’evidente connotazione allegorica, ma soprattutto ai due autoritratti multipli come ‘fantasma’, che rivelano tutta la gioiosa sorpresa, il primitivo stupore per le possibilità narrative della nuova tecnica che avremmo ritrovato in Lumière e Méliès agli albori del cinematografo. La burlesca messa in scena  spiritista non solo rivela il giudizio sarcastico dell’uomo di scienza[13] su di un fenomeno allora in voga, ma costituisce una precoce, immediata intelligenza dell’illusoria obiettività e verosimiglianza della ripresa fotografica.  Se questa può mostrare ciò che non esiste, allora il suo stesso statuto di verosimiglianza documentaria – pur ampiamente fondato e giustificato – deve essere accolto criticamente, ma contemporaneamente usato per stupire. In questa latente contraddizione continua risiede il fascino fecondo dell’immagine fotografica, ribadito da Negri in modi ed occasioni diverse lungo tutto l’arco della sua produzione.

“La fotografia – ha notato George Didi-Huberman[14] – nasce in un tempo che considera sé stesso del sapere assoluto. La fotografia è certo uno strumento d’obiettività straordinariamente fecondo, [ma] è innanzitutto uno strumento di sperimentazione, cioè mette in evidenza la variabilità o la relatività dei fenomeni visibili, non la loro stretta ‘positività’ .” In particolare consente di fissare l’immagine di ciò che non appare: perché troppo piccino o troppo distante, o rapido come il momento di un gesto. Se mostrare l’invisibile (il ‘non visibile’) è una delle virtù riconosciute alla fotografia, allora Negri con questa messa in scena spiritista segna simbolicamente la propria adesione a questo credo positivista in modo affatto paradossale, proprio mentre si ingegna ad applicarlo in forme più canoniche,  dedicandosi in particolare all’esplorazione dell’universo dell’infinitamente piccolo.

Porta la data del 1866[15] la  Prima Prova Micrografica/ Gamba di Ragno, di poco successiva alla produzione dei pionieri italiani in questo settore, come Antonio Roncalli di Bergamo e Luigi Arcangioli di Arezzo che all’Esposizione di Firenze del 1861 avevano presentato “studi micrografici” e “fotografie rappresentanti oggetti al microscopio”, mentre due anni più tardi all’Esposizione provinciale di Reggio Emilia del 1863 anche il conte Luigi Scapinelli esponeva immagini di insetti ingranditi al microscopio[16]. Le sperimentazioni fotomicrografiche[17] di Negri proseguirono sporadicamente negli anni successivi, segnati però principalmente da significativi studi di fitopatologia, tali da renderlo immediatamente noto a livello nazionale.[18] L’estensione progressiva dei propri interessi alla fotomicrografia batteriologica è testimoniato da una serie di articoli comparsi sul fiorentino “Lo Sperimentale” a partire dall’agosto del 1882[19], uno dei quali – la Contribuzione allo studio dei bacilli speciali della tubercolosi – costituì l’occasione di un primo contatto con Robert Koch, lo scienziato tedesco che nel marzo dello stesso anno aveva presentato la propria scoperta alla Società Fisiologica di Berlino.   A queste prime significative applicazioni fece seguito nei tre anni successivi un’intensa sperimentazione rivolta alla messa a punto di opportune metodiche di colorazione dei preparati destinati ad essere fotografati, in molti casi “espressamente inviati al Negri” dallo studioso torinese Edoardo Perroncito[20], mentre in altre occasioni  – come il bacillo del colera fotografato nel 1884 – egli si era avvalso di campioni raccolti durante l’epidemia che colpì i due piccoli centri casalesi di Pontestura e Vialarda nell’autunno di quell’anno, guadagnandosi nel 1885 una medaglia d’argento concessa dal Ministero della Sanità, anche per le attività profilattiche poste in essere in qualità di  sindaco.[21]

Il riconoscimento ufficiale veniva a coronare vent’anni di studi e ricerche scientifiche e di fotografia applicata all’indagine microscopica, ma per Negri ciò non costituì motivo di ulteriore impegno, anzi dopo questa data la sua attività in questo settore si interruppe bruscamente  con la realizzazione nel 1885 di un’ultima bella serie di ingrandimenti di Diatomee, con inquadrature che a volte si rifanno esplicitamente alle tavole pubblicate nel 1866 da Albert Moitessier nel suo manuale –  posseduto da Negri – dedicato a La photographie appliquée aux recherches micrographiques.  Qui accanto all’interesse strettamente documentario emerge una palese attenzione compositiva, del resto non estranea anche ad analoghe produzioni di altri autori, ciò che impedisce di condividere le troppo categoriche affermazioni di Carlo Bertelli secondo il quale “l’aspirazione della fotografia era allora la rimozione di qualunque intento estetico, la ricerca di assoluto verismo.”[22]

Non diverso dovette essere il suo modo di procedere nel nuovo e per lui inedito ambito di indagine, quello della storia dell’arte. Henry Festing Jones, amico e biografo di Samuel Butler ricordava come la consuetudine tra lo scrittore inglese e Negri datasse al 1888, anno della pubblicazione di Ex-Voto[23], e proprio il convergere di interessi intorno all’opera di Jean de Wespin e più in generale sul Santuario di  Crea fosse stato il fondamento di un’amicizia intellettuale e di una frequentazione che si protrassero sino alla morte di Butler nel 1902[24].  In Negri, membro della Commissione Conservatrice dei Monumenti ed Oggetti d’Arte e d’Antichità per la Provincia di Alessandria dal 1890, doveva certamente essere viva già da qualche tempo l’attenzione per il Santuario negli anni successivi ai grandi lavori intrapresi per iniziativa del vescovo di Casale  Monsignor Calabiana[25], ma non può essere senza significato che le sue prime riprese datate risalgano al 1891 – da luglio a settembre[26] – cioè esattamente allo stesso periodo, agli stessi giorni quasi cui datano anche le poche immagini realizzate da Butler, poi inviate a Giulio Arienta il 31 ottobre successivo con una lettera in cui esprimeva tutta la propria stima per lo studioso casalese: “Quel prete Don Minina ed il cav. Avv. Francesco Negri sono i più attivi, e cercano dappertutto con zelo molto forte e molto intelligente (…) so d’ogni modo che l’avvocato Negri è uomo di ottimo giudizio in questi affari.”[27]

Fu proprio la cappella del Martirio di Sant’Eusebio, che Butler aveva definito“la più importante” di Crea, e di cui Negri denunciò la grave condizione di degrado ancora all’inizio del Novecento, a costituire il primo e principale soggetto delle sue riprese, sebbene il principale  argomento di ricerca fosse volto in quel tempo alla ricostruzione delle figure di Martino Spanzotti e di Guglielmo Caccia.[28]

La costante attenzione per la statuaria di quella cappella consentì a Negri di realizzare nel corso degli anni una serie di immagini che varia dalla ripresa d’insieme ai particolari, intesi qui come descrizione analitica dell’opera quanto della scena, evento restituito dalla doppia mediazione dei due linguaggi, con l’intenzione esplicita di celebrare quel “realismo così sano e spontaneo” che tanto lo affascinava nelle opere di Giovanni Tabacchetti.  Attuava così quel rispecchiamento tra gesto del plasticatore  e gesto fotografico[29], entrambi impegnati a mettere in scena la memoria di una realtà, che riconosciamo anche nel modo di disporre le figure all’interno dell’inquadratura di una delle riprese relative alla cappella della Concezione della Vergine dove, ancora, l’interesse appare rivolto principalmente alla restituzione fotografica del dialogo fra le figure. Era questo un modo di  declinare l’intenzione documentaria propria della fotografia di riproduzione d’arte secondo una più sottile intenzione, che reinterpretava  e stravolgeva la pratica consolidata dei grandi studi quali Alinari o Braun (verso i quali in quegli stessi anni si appuntavano le incisive osservazioni di Wölfflin) accogliendo le suggestioni della nuova sintassi visiva introdotta  dalla pratica dell’istantanea fotografica, quel tentativo di rendere l’illusione della vita corrispondendo alla teatralizzazione  del gesto che apparteneva alla logica di rappresentazione del plasticatore.[30]

“How about your Tabacchetti?”  chiedeva Butler a Negri in una lettera datata 5 novembre 1900[31], con allegata copia della sua traduzione dell’Odissea e l’annuncio di aver iniziato la redazione di Erewhon Revisited,  a riconferma di una solida consuetudine e stima,  che si sarebbe concretizzata due anni più tardi coll’accollarsi le spese di pubblicazione dell’apparato illustrativo  (“i fototipi per le illustrazioni che ornano queste notizie”)  del lungo saggio da Negri dedicato a Il Santuario di Crea in Monferrato, summa degli  studi dello studioso e fotografo casalese[32] che sulla “Rivista di Storia, Arte, Archeologia della provincia di Alessandria”, aveva già pubblicato gli esiti delle proprie ricerche dedicate a Giorgio Alberini e a Guglielmo Caccia[33], occasione per avviare rapporti con altri studiosi come Carlo dell’Acqua[34], Gustavo Frizzoni[35]  e Diego Sant’Ambrogio, che il 27 giugno 1904 gli segnalava l’importante ritrovamento del trittico realizzato da Macrino d’Alba per l’abbazia di Santa Maria di Lucedio (Trino)[36].

Proprio il patrimonio artistico di questa importante abbazia cistercense costituì l’argomento delle sue ultime ricerche di storia dell’arte, estese al patrimonio pittorico del vicino centro di Trino, pubblicate nel 1914 in un volume firmato coi religiosi Evasio Colli ed Alessandro Rastelli, autore quest’ultimo del ricco apparato fotografico a corredo.[37] Non è questa la sede per valutare nel merito gli esiti delle ricerche di Negri, ma risulta semplice riconoscere come numerose sue conclusioni non abbiano retto alla prova del tempo e siano state radicalmente modificate dagli studi più recenti[38]. Sarebbe però ingiusto disconoscere la sua capacità di aprire gli interessi della cultura locale alla storiografia artistica su base documentale, seguendo percorsi che si discostavano significativamente dal prevalente interesse per la cultura tardomedievale espresso negli stessi anni dagli storici torinesi, mentre nel Piemonte settentrionale, dopo gli studi di Edoardo Arborio Mella l’attenzione era piuttosto rivolta alle scuole artistiche di matrice lombarda e alla produzione cinquecentesca in genere.

Nel ripercorrere questa diversa geografia culturale l’attività di Negri mostra notevoli analogie con quanto andava facendo nello stesso periodo l’amico fotografo vercellese Pietro Masoero[39], impegnato nella documentazione delle opere della Scuola pittorica vercellese, sebbene il suo progetto culturale  avesse una più precisa intenzione politica, orientata alla divulgazione,  all’istruzione delle classi popolari piuttosto che alla produzione storiografica. E diversa ancora era l’intenzione di Secondo Pia[40], cui lo legavano rapporti di conoscenza anche nell’ambito della Società Fotografica Subalpina, certo in quel periodo l’autore più sistematicamente impegnato nella formazione del catalogo visivo del patrimonio artistico e architettonico piemontese.[41] Pia si era recato a Crea il 15 settembre del 1885, ma in quella prima occasione aveva rivolto la propria attenzione al solo aspetto paesaggistico, risolto in un panorama in due parti ripreso da sud, secondo il punto di vista canonico[42], la più antica documentazione fotografica di questi luoghi a noi nota, realizzata da Vittorio Ecclesia nel  1878-1880, che aveva escluso le cappelle e il loro patrimonio statuario, allora in fase di profonda trasformazione, per rivolgersi alla sola facciata e all’interno del Santuario offrendo però una Veduta generale del Sacro Monte ripresa dal colmo della chiesa  che costituisce una delle più affascinanti invenzioni iconografiche del fotografo e di tutto il repertorio relativo a questi luoghi.[43]

“Per godere di queste sensazioni [questo] misantropo così squisitamente sensibile (…) partiva da Casale a piedi (…) Sempre solo, poiché non aveva l’amico il cui spirito vibrasse all’unisono col suo; sempre taciturno, ma beato per gli spirituali conversari che lo intrattenevano (…) con le umili pianticelle che andava raccogliendo nel bosco. (…) Lo rivedo ancora nella buia cappella di S. Margherita, a rivelarmi le bellezze in essa rinchiuse mediante il lampo di magnesio che portava sempre con sé.”[44] Le parole del necrologio redatto da Luigi Gabotto confermano come Crea sia stata per molti versi il laboratorio di Negri, ma non convincono sino in fondo, fanno emergere nel lettore il sospetto delle stereotipo. Soprattutto non corrispondono all’impressione generale che le fotografie di Negri lasciano in chi le osserva.

Certo Crea fu luogo privilegiato di meditazioni e studi, ma non il solo. Le note autografe apposte alle lastre registrano le località di Pozzengo, Torcello, San Germano, Camino, Quargnento, Bosco Marengo, Fubine disegnando una mappa di destinazioni facilmente raggiungibili dall’amatissima Casale, cui dobbiamo aggiungere la Val Sesia con Riva Valdobbia e alcune località della Valle d’Aosta, Courmayeur in particolare. Sono le mete accessibili nel tempo concesso dagli impegni pubblici e professionali, sono i luoghi delle villeggiature. Scontati e pienamente comprensibili per l’attività di un amateur photographer, per quanto selettiva e qualificata. Così come non ci sorprende il calendario delle riprese, tutte scalate – tranne rare eccezioni – da maggio a ottobre, quando la luce è più calda e intensa, in grado di migliorare ancora le prestazioni delle già rapide emulsioni alla gelatina-bromuro d’argento.

Né mi convince quell’accenno a una misantropica solitudine, a una subìta separatezza, radicalmente smentita dalla collezione  di sguardi che vediamo intrecciarsi nelle sue lastre, dal piacere giocoso e tutto dilettantesco della curiosità tecnologica[45], che lo portava a usare apparecchi “nascosti”.

La rivoluzione delle emulsioni alla gelatina  ebbe conseguenze enormi anche nel costituirsi della fotografia come pratica sociale. Il fotografo non professionista non fu più – o non solo – l’irregolare di rango, ma,  per onde socialmente sempre più ampie, omnicomprensive divenne dapprima dilettante e poi fotoamatore, ruolo culturale inedito, produttore e consumatore di quella che ormai molto avanti nel Novecento Pierre Bourdieu avrebbe chiamato “arte media”, o semplice praticante occasionale colonizzato dalle strategie dell’industria dell’immagine.

In questa traiettoria la figura di Negri si pone in maniera affatto singolare per la sua capacità di utilizzare la fotografia senza preconcetti, in grado di ricorrere alle migliori  e più aggiornate soluzioni applicative come di usarne quale strumento e testimonianza di relazioni sociale e affettive.

Anche per Negri la lastra fotografica era “la vera retina dello scienziato, che vede tutto, che analizza tutto e che addiziona le impressioni, senza fatica, senza parzialità, senza preconcetti”[46], sebbene questo  approccio positivista e analitico non gli impedisse poi usi diversi, privati e narrativi, spingendosi se del caso ben oltre i legittimi limiti della verosimiglianza per giocare con le esposizioni multiple sulla stessa lastra, dove – abbandonato il grottesco sarcasmo delle prime prove ‘spiritiste’ – l’espediente era destinato a inventare mondi possibili, verosimilmente fantastici,  abitati non a caso da bambini.[47]

L’accoppiamento tra nuove emulsioni e apparecchi gli consentì soprattutto di orientare diversamente il proprio sguardo, affiancando alle precedenti applicazioni strumentali – tra ricerca scientifica e storiografia artistica – il piacere di cogliere la realtà “nella verità della sua apparizione” (Gunthert 2001, p. 65), di collezionare ricordi istantanei senza alcuna premeditazione.

In questa nuova stagione, e inedita, un ruolo determinante giocò l’uso dagli apparecchi stereoscopici, dove grande maneggevolezza e rapidità di posa arricchivano l’affascinante promessa della futura visione tridimensionale e privata  così come accadeva con le detective camera.  Il loro uso letteralmente sorprendente dava corpo e immagine per la prima volta alla versione fotografica del voyeur[48], ormai dotato di un apparecchio[49] nascosto sotto al panciotto, con l’obiettivo sporgente da un’asola, che consentiva di ottenere su ciascuna delle lastre circolari di cui era dotato, sei immagini circolari di 40 mm di diametro e che Negri usò a partire dal 1888.

Paradosso della situazione: nel momento di più esplicito voyeurismo il fotografo nuovo delegava alla macchina buona parte delle proprie funzioni autoriali e posticipava il piacere del vedere riservandolo allo spazio sacrale della camera oscura. Si limitava a scegliere l’occasione e il momento. Affidandosi all’apparecchio per strutturare l’articolazione dello spazio e la composizione dell’inquadratura abdicava alla propria funzione di autore aprendo inconsapevolmente la strada alle estetiche del Novecento.

Anche in termini iconografici con questa possibilità nuova, nativa, offerta dall’istantanea[50], la fotografia si rendeva autonoma da ogni debito con la tradizione pittorica, giungendo progressivamente a definire un genere costituito da immagini articolate secondo sintassi inedite[51], che in Italia sarebbero poi state lucidamente individuate da Stefano Bricarelli, che per la buona riuscita delle “scene animate”  avrebbe indicato quale “condizione indispensabile (…) che il soggetto sia inconscio (…). Condizione essenziale questa che va soddisfatta a pena di perdere, nel risultato, ogni vita e verità d’atteggiamenti, per cadere nella goffaggine e nella banalità di una cattiva composizione studiata. [Per] fissare sulla lastra la bellezza di un fuggevole istante [bisogna] abituarsi a vedere il soggetto ed a percepire il momento esatto in cui esso va colto, affinché si presenti in tutte le condizioni più favorevoli. (…) Saper vedere il soggetto (…) discernere il motivo  di un quadro.”[52]

Le scene di strada erano un soggetto privilegiato e ampiamente frequentato già dalla prima maturità della pratica stereoscopica, intorno agli  anni ’70 del XIX secolo.  A questa si devono anzi i primi esempi di ripresa istantanea, ancora ai tempi del collodio, ma fu la pratica dilettantistica consentita dai nuovi dispositivi fotografici a determinare la vera e definitiva scoperta della scena urbana, a mutarne il senso della rappresentazione, che ora diviene piuttosto la registrazione di un’esperienza, la traccia del rapporto individuale tra il fotografo e la città, testimonianza del suo esserci in quanto componente della scena stessa.

La semplicità d’uso consentiva ormai di rivolgere l’attenzione alle banalità (più raramente all’eccezionalità)  del quotidiano; erano  proprio le nuove possibilità operative a consentire e definire nuovi soggetti, irriducibili ai canoni dell’artisticità, incommensurabili. Contemporaneamente si accresceva il valore testimoniale di traccia della fotografia, poiché l’apparente casualità dell’inquadratura certificava la veridicità di una ripresa non posata e simulata, “rendendo più profondo il nesso tra informalità e verità fotografica.”[53] È l’istantaneità che inventa i propri soggetti collocandoli in un diverso orizzonte espressivo e di valore, che si caratterizza  per la sua elevata autoreferenzialità[54]. Prende così progressivamente forma un modello di consapevolezza espressiva fondato sui nuovi elementi discorsivi apportati da questa pratica, ciò che consente per la prima volta di “piegare la rappresentazione al proprio ordine, di imporre al visibile la griglia della tecnica, di trasformare il soggetto della pittura nell’oggetto della fotografia”[55], di più ancora, come abbiamo visto nel caso di alcune riprese relative a Crea: di cercare l’istantaneità del gesto anche nella lettura delle statue di Tabacchetti.

Nell’opera di Francesco Negri questa libertà nuova ha assunto forme diverse, che riguardano aspetti compositivi non meno che narrativi, così come la scelta di specifici soggetti.

Quanto all’accogliere le suggestioni di nuove possibilità sintattiche, basti pensare a certe vedute urbane[56],  ai modi di orchestrare le figure nello spazio, congiunte da intervalli così silenziosi da far emergere a volte un sentimento di desolata solitudine, quasi disperata. Si produceva così un tempo che appare sospeso, immoto, il più lontano dal fermo immagine  proprio dell’istantanea comunemente intesa. In altri casi è la rimessa in discussione del punto di vista a costituire il centro di interesse, come nella bella ripresa delle lavandaie dall’alto, o la scomposizione – affidata alle ombre – dell’inquadratura di una scena di strada altrimenti al limite del bozzetto folklorico. In entrambe un soggetto ampiamente frequentato e ormai consunto venne  rivitalizzato in modi che anticipano soluzioni che saranno poi programmaticamente perseguite dai fautori della “nuova visione”.

Negri non escludeva alcun uso della fotografia. Non temeva la banalità del quotidiano, poiché la fotografia (gli) consentiva anche questo: di raccontare un gesto qualsiasi, cui si è legati anche solo da un fuggevole sentimento momentaneo, con grande e risolutiva economia di mezzi. Per questo – credo – non temeva neppure di misurarsi con qualcosa che noi oggi possiamo forse chiamare il qualunquismo delle ricorrenti pose goliardiche, dei piccoli gesti di pessimo gusto, di intere serie di “foto col colombo in man”. Non solo desiderava misurarsi con la fotografia, ma anche sottoporne a verifica le potenzialità, affidandosi al piacere sorprendente di estrarre il singolo gesto fugace dal flusso continuo dell’azione. Mi riferisco al velleitario tentativo di dimostrare come fosse possibile la “Abolizione della film (…) vantaggiosamente sostituita dalle comuni lastre sensibili”, condotto utilizzando il bizzarro apparecchio Olikos[57], ma ancor più alle due opposte serie delle scene di ballo e della brevissima, sorprendente sequenza del tuffo nelle acque del fiume, altro “soggetto istantaneo” praticato da molti fotografi il cui successo non era immune, secondo alcuni, da più o meno esplicite suggestioni della cultura omosessuale.[58]

Questa sindrome dell’istantanea fu immediatamente individuata e precisamente descritta da Albert Londe, direttore del servizio fotografico al cronicario parigino  della Salpêtriére col grande psichiatra Jean-Martin Charcot,  che nel suo saggio dedicato alla Photographie instantanée notava come “molti fotoamatori da quando possiedono un otturatore non sognano altro che di fotografare dei cavalli in corsa o dei treni espressi” , sebbene questo si rivelasse ben preso un compito ingrato, poiché “se la ripresa ottenuta è nitida il treno appare irrimediabilmente fermo e solo la dichiarazione del fotografo, ancor più del pennacchio di fumo che volteggia, garantisce l’istantaneità della posa.”[59]

Ciononostante l’attrazione per questo soggetto – in Negri come in altre decine di pittori e fotografi europei e statunitensi, ben prima delle celebrazioni futuriste – fu irresistibile, poiché la locomotiva rappresentava  la materializzazione di una velocità inumana, sino a prima inimmaginabile. Era e rimane per questo il simbolo più efficace e pieno della modernità della prima rivoluzione industriale, ma costituiva anche il banco di prova dell’istantaneità fotografica: velocità contro velocità, otturatore vs motore. Senza poter impedire che sfuggisse però – irresistibile – una scenografica massa cangiante di fumo e vapore bianco, come di nuvole fatte a macchina.

I diversi ambiti della sua attività, così come si sono  andati delineando ci consentono un’affermazione che può apparire sorprendente: sino agli anni Novanta Negri non fu un amateur photographer, ma uno studioso che usava in modo molto accorto e appropriato la fotografia, trovando in questo campo di applicazione specialmente motivi di interesse tecnologico. Basti pensare alla progettazione del teleobiettivo, che costituiva in quegli anni un rilevante problema ottico meccanico, già affrontato da Thomas Rudolphus Dallmeyer a Londra e da  Adolf Miete a Berlino sin dal  1891, quindi da Giorgio Roster e Innocenzo Golfarelli in Italia, e che lui risolse operativamente per primo nell’arco di poco più di quattro anni, a partire dalle sperimentazioni avviate nell’aprile 1892 sino alla messa in produzione da parte della ditta milanese Francesco Koristka nel 1896.[60]

Il profilo architettonico della città, insieme alle montagne lontane, era ciò che lo attirava per primo nella sperimentazione del nuovo strumento ottico, la possibilità di incidere nella veduta panoramica un percorso visivo di avvicinamento estremo, sino alla scala del singolo edificio o tenendosi un poco più largo per rivelarne le aguzze emergenze che lo distinguono, le più antiche torri e le ciminiere dei cementifici, mantenute significativamente in primo piano anche in un’altra ripresa in cui notava l’adagiarsi calmo della città nell’ansa ampia del fiume. Poco sembrano interessarlo invece le singole emergenze architettoniche. Non rientrava tra i suoi scopi la formazione di un repertorio visivo del patrimonio storico urbano; attento semmai agli spazi da vivere, tra le piazze, i giardini e il lungofiume. Poi le infrastrutture, forse anche in virtù della sua stessa funzione di amministratore pubblico. La sua è una città che appare scarsamente popolata, sebbene alcune tra le primissime riprese, ancora su lastra al collodio, fossero dedicate all’imprendibile animazione di piazza Mazzini in un giorno di festa, e ancora anni dopo avesse generosamente impiegato il proprio apparecchio stereoscopico per raccontare l’animazione di piazza Castello in occasione di qualche fiera, tra padiglioni e giostre.[61]

La città che sembra attirarlo di più è quella degli spazi vuoti, non di rado marginali, quella che appare  nelle giornate uggiose, con scarsi passanti, nell’elegante griglia dei giardini innevati, deserti.

Anche del fiume ciò che maggiormente costituiva per lui richiamo non era la vita sulle sue sponde, pur non esclusa, ma la sua relazione inscindibile con la città e col paesaggio che la circonda, letteralmente nato per erosione e accumulo, tra bordi collinari e pianura. Raccontare il fiume voleva dire per Negri reinventarne fotograficamente la maestosa ampiezza, minacciosa a volte; alzare panoramicamente il proprio  sguardo sino a cogliere il dialogo con la geografia dell’intorno o ridursi al breve orizzonte chiuso dagli argini, estendendo il proprio sguardo a tutti i paesaggi d’acque che circondano la città, sino alle più prossime risaie, fotografate forse per l’amico Angelo Morbelli.[62]

Quasi si potrebbe dire che solo nell’ultimo decennio del secolo Negri divenne un dilettante, aprendosi liberamente al piacere dell’istantanea, ma rivelandosi soprattutto un ritrattista di gran livello, così come sarebbe accaduto per un altro amateur della generazione successiva come Enrico Del Torso (Trieste 1876 – Udine 1955)[63]. È proprio in questa serie di figure che risulta dal dialogo serrato coi soggetti fotografati, tutti palesemente in relazione di stretta conoscenza, di familiarità col fotografo che emerge per la prima volta un esplicito impegno espressivo, scalato in una ricca serie di soluzioni linguistiche, frutto di uno sguardo innovativo e scarsamente condizionato dai modelli della fotografia pittorialista; immagini  destinate alla pura  fruizione privata. Come aveva già notato Marina Miraglia[64], Negri fu “tra i pochi fotografi amatori piemontesi che oltre all’immagine del territorio indagò, in toccanti istantanee, la propria quotidianità familiare”, riuscendo però a trascendere ampiamente questi angusti limiti sino a restituire l’identità visiva della borghesia casalese tra Otto e Novecento, a offrire esiti innovativi all’ormai lunga consuetudine del genere.

Dopo una pausa di circa un trentennio l’archivio di Negri si popola nuovamente di persone, spesso inseguite e colte nella relativa libertà del gesto quotidiano, in modi mantenuti volutamente lontani dalla prestabilita compostezza della ripresa in studio, a meno che ciò non costituisca quasi un esercizio di citazione. Gli sfondi, appena fuori fuoco, sono di interni borghesi, ma non mancano certo gli esterni, che anzi tendono a prevalere col procedere degli anni. L’attenzione è per la figura (non sono ritratti ambientati) anzi, ancor più, è concentrata sul volto e in questo sullo sguardo, che a volte emerge dall’ombra, con una modernità priva di inquietudine. Oppure si rivolge diretto alla macchina, al fotografo quindi, in segno di manifesta confidenza, o si ritrae pudico per analoghe ragioni. Anche qui ritroviamo esempi di sperimentazione linguistica condotti al limite della citazione, ma sempre con la levità quasi innocente del dilettante. Penso alla figura stante, di profilo, con lunga tunica bianca, in cui le suggestioni tra preraffaelitte e simboliste piuttosto che sublimare l’identità concreta e storica della persona ritratta – come accadeva circa gli stessi anni nelle fotografie di Guido Rey – contribuiscono a marcarne la connotazione. Penso anche alle due ieratiche figure di netto profilo, forse una coppia, di ancora più antiche ascendenze pittoriche ma certo di scarsa applicazione nella ritrattistica coeva: ad esclusione della segnaletica, certo.

I modi oscillano continuamente tra gli estremi opposti delle silhouette prefotografiche, alcune provate virtuosisticamente in esterni, e la vivezza dell’istantanea, in cui uno sguardo colto quasi al volo, un gesto rivelano improvvisamente qualcosa della persona ritratta, aprendo la strada che poi sarebbe stata ampiamente frequentata dalla fotografia degli anni della modernità.

Anche il tema del paesaggio – secondo le date autografe apposte alle lastre – non venne sistematicamente affrontato prima della fine degli anni Ottanta, quando però si trattava ancora, il più delle volte, di vedute di  località, non di paesaggi veri e propri[65]. Tra i primi soggetti con cui si misurava vi era la montagna, certo una nobile tradizione per la fotografia piemontese e per lui legata ai soggiorni in alta Val Sesia (Alagna e soprattutto Riva Valdobbia, dal 1888) e poi in Valle d’Aosta (Courmayeur, Châtillon, la Valtournenche tra 1897 e 1899). Sono prevalentemente vedute di ampio respiro, che restituiscono l’insieme del contesto alpino o si soffermano sui piccoli insediamenti di fondovalle. Negri non era un alpinista, solo di rado il suo sguardo veniva attratto dalle catene montuose o dai fronti di ghiacciaio, memore delle favolose immagini dei primi grandi fotografi di montagna, non più di trent’anni prima[66]. Non per questo però la qualità della sua produzione fu meno nota e apprezzata se Vittorio Sella[67], forse il più grande fotografo alpinista del XIX secolo, scelse alcune sue riprese per una mostra aostana dedicata proprio a questo genere, realizzandone in proprio una nuova stampa delle eccezionali dimensioni di 53,5×218,5 centimetri. Più interessanti ci sembrano oggi i paesaggi veri e propri, per quella sua capacità di sorprenderci con piccoli scarti improvvisi, inattesi; per la scelta di soggetti inconsueti e quasi marginali che gli consentono però di orchestrare l’inquadratura in modo dinamico, con la ricorrente presenza di elementi in primo piano con funzione di quinta e di scomposizione dell’inquadratura, oppure ricorrendo per analoghe ragioni alle amatissime ombre portate di elementi fuori scena.

La più costante attenzione fu però rivolta alla vegetazione nelle sue diverse forme, alle specie spontanee riprese in stereoscopia ancora nel 1899 con lo sguardo del naturalista e specialmente alle masse alberate che chiudono l’orizzonte dei campi, che segnano il margine delle lanche, al folto dei boschi. Tutti soggetti che ben si prestavano ad essere trattati col metodo della tricromia.

Paesaggio e colore in un qualche modo si sovrapponevano, e neppure la montagna faceva eccezione,  esito di una mediazione che era pittorica e tecnologica insieme. Com’era per l’istantanea, anche la tricromia[68] imponeva i propri soggetti, non solo per l’ovvio prevalere d’interesse della gamma cromatica sulle modulazioni tonali, ma anche e forse soprattutto perché la realizzazione distinta dei tre negativi di selezione imponeva la scelta di soggetti sostanzialmente immobili, la cui forma permanesse immutata per il tempo necessariamente lungo delle tre distinte pose.

Dopo le prime prove del 1890 (una ripresa di fiori in vaso, con filtro rosso, datata 8 luglio) Negri si dedicò con costanza a queste esperienze a partire dall’ottobre del 1899 (“Quando cominciai nel dicembre 1899 a tentare la tricromia..”  ricordava nel 1906, sbagliando di poco), forse sollecitato dalla pubblicazione dell’importante testo di Carlo Bonacini La fotografia dei colori (1897) e da quello di Alcide Ducos du Hauron, fratello del più noto Louis, La triplice photographique des couleurs et l’imprimerie che l’editore parigino Gauthier-Villars aveva pubblicato nello stesso anno.  L’interesse per il tema era però di molto precedente come dimostra la presenza nella sua biblioteca del testo fondamentale di Hermann Wilhelm Vogel, La photographie des objects colorés avec leurs valeurs réelles (1887), e confermata dalla presenza di periodici specializzati quali “La Photographie des Couleurs” e del più tardo volume di Ernst König,  Natural-color photography, del 1906.

L’attenzione non episodica per questo tema è oggi testimoniata dalle sessanta tricromie presenti nel Fondo[69], “sintesi di un lungo e paziente lavoro, il quale lascia dietro di sé un enorme sciupio di lastre, pellicole e colori”; poi aggiungeva:  “di schermi ne ho fatti molte decine, di colori ne ho passati in rassegna più di un centinaio.”[70]

Gli esiti di questa metodica applicazione furono immediatamente noti e apprezzati, tanto da determinare la partecipazione nel 1902 alla grande Esposizione di Arte decorativa moderna e contemporanea che si tenne a Torino,[71] chiamato a rappresentare l’Italia nella sezione dedicata alla fotografia[72]. L’invito doveva certo essere giunto dallo stesso Presidente del Comitato promotore dell’Esposizione internazionale di fotografia artistica Edoardo di Sambuy, che Negri aveva conosciuto in occasione dei due primi congressi italiani di fotografia a Torino (1898) e Firenze (1899). La condivisione dell’iniziativa con autori quali Guido Rey, Cesare Schiaparelli, Giacomo Grosso e Vittorio Sella, solo per citare i maggiori, consacrava Negri come uno dei più significativi autori a livello nazionale, sebbene il suo modo di intendere e praticare la fotografia poco avesse da condividere con le pratiche ‘artistiche’ allora dominanti, analogamente a quanto accadeva del resto anche per Vittorio Sella.

Pietro Masoero, commentando l’Esposizione sulle pagine del “Bullettino della Società Fotografica Italiana” segnalava le “magnifiche tricromie su pellicola di Francesco Negri di Casale, destanti l’ammirazione generale. E questa volta il pubblico giudicava bene. I saggi presentati dal Negri erano perfetti sotto ogni rapporto e per il primo credo, dalla natura morta osò riprodurre a colori la natura aperta come un’aiuola di viole del pensiero e un canale del Po con effetto di tramonto.”[73]

L’ammirazione del pubblico era certo favorita dalla semplicità di queste composizioni, lontane dalle “inusitate forme” e dalla “esagerazione della ricerca” della più avanzata produzione straniera di gusto pittorialista, specialmente statunitense. La novità dirompente, assoluta, per noi oggi incommensurabile era però il colore fotografico, tanto urgente per la cultura scientifica dell’epoca da meritare un Nobel al francese Gabriel Lippmann nel 1908, per la messa a punto del metodo interferenziale diretto di fotografia a colori; quello  che i fratelli Lumière, grandi sperimentatori e recenti inventori dell’autocromia, molto sottilmente definivano come “una meravigliosa esperienza di laboratorio e una elegante conferma della teoria fisica della luce”, priva però di qualsiasi utilità pratica.

Come si è detto, non che Negri non avesse mai affrontato il tema del paesaggio prima di misurarsi con la difficoltà tecnica delle tricromie, ma qui – appunto – il senso e le ragioni della scelta risiedevano nei vincoli imposti dal procedimento e l’interesse per il genere assumeva una vitalità nuova. La scelta del tema ma anche quella del luogo, quel paesaggio fluviale e collinare che segna i dintorni della città e che tante volte aveva  già descritto e studiato, forse non estraneo all’intenzione tutta positiva di annodare le fila delle trame che costituiscono un territorio, in anni in cui si avviavano in Italia le prime riflessioni in merito alla tutela del paesaggio[74]. Il soggetto (insieme, non a caso, alla natura morta) risultava quindi in certa misura imposto, quasi  ineluttabile, ma non per questo nella determinazione dell’inquadratura e nella costruzione generale dell’immagine non è possibile riconoscere suggestioni, stimoli visivi e culturali precisi  esito di sguardi educati a vedere secondo canoni determinati, non casuali.  Mentre il trattamento dominante del paesaggio negli anni della “Fotografia Artistica” prediligeva i toni bassi e brumosi (fontanesiani quasi), qui insieme al colore entrava in gioco la luce, meglio ancora la luminosità densa dei tre strati policromi, restituita in tutte le sue gradazioni al momento della visione per trasparenza.

Accanto ai paesaggi le sobrie nature morte,  eleganti studi condotti nella calma racchiusa del proprio studio.

Nella messa a punto di questi set di ripresa Negri  mostra un’attenzione e una sapienza nel trattare la luce che invano cercheremmo nelle altre fotografie. Il soggetto, perfettamente centrato, ripreso frontalmente, quasi affiora dal piano posteriore cromaticamente intonato oppure si stacca, netto, dal fondale scuro e indistinto, da cui i colori pastosi delle gelatine emergono con evidenza materica.

L’accuratezza di queste composizioni testimonia da sola le sue potenzialità, ma conferma anche il suo scarso interesse generale per le questioni estetiche, qui sollecitate dalla sfida della più efficace, spettacolare resa del colore e risolta applicando modelli compositivi direttamente desunti da analoghi  esempi pubblicati dalle riviste dell’epoca sotto forma di tavole fuori testo[75]  o comunque di ampia circolazione come gli Etudes de Feuilles di Charles Aubry, del 1864, ma ancor più la serie dei Fleurs photographiées realizzata da Adolphe Braun nel decennio precedente (1854-1856), che costituì a sua volta modello per innumerevoli autori successivi, tra fotografia e pittura.

La sua attività fotografica proseguì ancora per circa dieci anni,  le ultime annotazioni autografe datano le immagini al maggio 1915, ma certo l’incontro con le opere dei maggiori protagonisti della stagione pittorialista avvenuto a Torino non produsse in Negri alcuna velleità di confronto, alcuna suggestione.  Quando nel 1906 pubblicò sul “Bullettino della Società Fotografica Italiana” e quindi ne “Il Progresso Fotografico” i suoi Appunti sulla tricromia, apparentemente l’unico suo testo dedicato alla fotografia, le notazioni erano esclusivamente di carattere tecnico[76];  invano si cercherebbe un cenno alla poetica o anche solo alle ragioni del fotografare a colori.

Il suo operare fu continuamente delimitato da  orizzonti puntualmente definiti e temporalmente circoscritti, dove la maestria nell’individuare di volta in volta i parametri applicativi più adatti alla più efficace soluzione del problema si coniugava e si confondeva col desiderio, con la necessità di un continuo confronto tecnologico propria dell’autodidatta, del fotografo dilettante che agli albori della modernità si appresta a divenire fotoamatore. Anche la sua connotazione di autore ‘locale’ sembrerebbe muovere il giudizio in tal senso, ma è indispensabile distinguere. Certo la scelta dei soggetti, la delimitazione geografica della sua area di lavoro fu fortemente radicata nel territorio casalese, luogo in cui si fondavano e si svolgevano le ragioni e le trame che legavano i suoi molteplici interessi. Ma la sua cultura, le ragioni i modi e gli esiti della sua pratica fotografica rivelarono, già ai contemporanei il suo valore sovralocale, la sua singolare figura di fotografo tra i più rilevanti degli ultimi decenni del XIX secolo in Italia, impossibile a ridursi a una tipologia che non sia quella di uomo del suo tempo, enciclopedico ed eclettico. Indifferente alle gerarchie di valore lui accoglieva e usava tutta la fotografia; ne coglieva e apprezzava l’infinito spettro di possibilità indifferenziate di puro e affascinante strumento, in grado all’occasione di divenire gioco raffinato o elegante problema da risolvere. Mezzo d’espressione cui concedere poco però, da cui lasciar trasparire quasi nulla di sé. Per questo non credo che Francesco Negri si sentisse ‘autore’, non almeno nel significato trasmesso dalla tradizione artistica e ancora oggi troppe volte accolto e usato senza cautele. La sua presenza più definita e personale riusciamo a trovarla, a leggerla con sufficiente chiarezza solo nella produzione più riservata e personale dei ritratti e delle istantanee, nascosta sino ad ora a sguardi che non fossero intimi. “Carattere complesso – lo ricordava il canonico Francesco Gasparolo nel 1925 –  davanti a cui (…) si rimane perplessi nel giudicare, se la difficoltà di misurare l’alto valore dell’uomo provenga dalla sua eccessiva modestia o da fierezza d’animo. Converrebbe probabilmente conchiudere che ambedue siano state le cause.”

 

 

Note

[1] È opportuno ricordare, e ribadire, che ciò che si mostra in questa occasione non è solo una inevitabile selezione, come necessariamente accade ogni volta che ci si propone di presentare criticamente l’intero ciclo operativo di un fotografo.

L’antologizzazione delle fotografie realizzate da Francesco Negri è, ancor prima, conseguenza di ciò che si è riusciti a mostrare, ma non rispecchia fedelmente l’insieme di ciò che si è conservato, per ragioni che credo indispensabile motivare almeno sinteticamente.

L’insieme dei materiali su cui abbiamo condotto le ricerche qui pubblicate, tutti conservati nel Fondo Negri della Biblioteca civica di Casale Monferrato, appartiene a quella porzione – crediamo prevalente – della sua produzione che è riuscita a superare il corso dei decenni sopravvivendo a dispersioni, vicende giudiziarie, incuria e non sempre opportuni e accorti interventi. In quasi totale assenza di stampe originali, forse disperse negli anni, la selezione  è stata condotta prevalentemente sui negativi, rinunciando comunque dolorosamente a presentare le lastre irrimediabilmente rigate, quelle la cui emulsione non si è negli anni gonfiata e parzialmente staccata, quelle su cui una mano tanto volonterosa quanto imprudente non ha incollato, solo pochi decenni orsono, micidiali etichette identificative. Come ha ben documentato Barbara Bergaglio, per troppo tempo il Fondo Negri è stato sfruttato come una risorsa di cui poco importava la conservazione nel tempo, ponendo in essere insufficienti cautele e attenzioni sia in termini di condizioni fisiche che di sicurezza. Non si spiega altrimenti l’attuale assenza di alcune immagini e documenti pubblicati nella monografia curata da Cesare Colombo nel 1969, ma anche di altri beni strumentali e immagini individuati da chi scrive alla fine degli anni ’80, confermati dalla schedatura condotta dalla Fondazione Italiana per la Fotografia e oggi non reperibili.

Per meglio identificare i forti limiti entro cui è stato costretto il presente lavoro è necessario ricordare che la committenza non ha ritenuto opportuno favorire l’ampliamento delle ricerche presso quelle istituzioni e collezioni private che notoriamente conservano immagini e documenti relativi all’attività di Negri. Non è stato così possibile, ad esempio, studiare e utilizzare la ricca e varia documentazione conservata presso il Sacro Monte di Crea, che fu l’amato laboratorio di una vita per Negri, né rendere note alcune eccezionali testimonianze della sua precoce fortuna critica, penso in particolare alle bellissime stampe fotografiche di panorami alpini che Vittorio Sella trasse da sue lastre negli anni Trenta del Novecento, i cui negativi sono oggi conservati presso la Fondazione Sella di Biella, mentre alcuni positivi in diversi formati, anche di grandissime dimensioni, sono conservati nelle collezioni del Museo Nazionale della Montagna di Torino e nei fondi Fotografici della Soprintendenza regionale della Valle d’Aosta.

Sono infine convinto che le collezioni private, specialmente casalesi, avrebbero potuto riservare interessanti sorprese, offrire significative testimonianze di una consuetudine, certo sua, a concedere ad amici ed estimatori i migliori esemplari della sua vasta e poliedrica produzione, oggi tanto più preziosi in conseguenza della scarsità di stampe originali conservate nel Fondo.

[2] Disderi 1862, nota a p.169, accanto alla formula del “collodion pour l’été”.

[3] Escludendo Padre Vittorio della Rovere (1811 – 1863 ?), di nascita casalese ma vissuto prevalentemente tra Torino e Roma, ben noto per le sue rare immagini e gli studi sulla stereoscopia (cfr. “Atti dell’Accademia dei Lincei”, 8, 1854) e ancor prima sulla  dagherrotipia, per cui si rimanda a L’Italia d’argento, 2003, p. 246, scheda siglata “mfb” [Maria Francesca Bonetti], e stando alle poche notizie certe, negli anni intorno al 1860 a Casale si registrava la sola presenza di Antoine Valentin, di evidente origine francese, della Fotografia Sociale, Via della Posta n.6, e di un  “V. Casazza \ Geom.tra Fot.fo \ Casale” non altrimenti noto, sebbene l’interesse per la nuova invenzione dovesse essere stato molto precoce, come indica la presenza nel Fondo Negri di Buron 1841, che porta al frontespizio il timbro ex-libris della biblioteca della famiglia Vitta, di cui sono note le relazioni con la Francia in relazione alla costituzione del Crédit Lyonnais.

Nei decenni successivi furono attivi Virgilio Tamburini, 1879 – 1905 ca, Via Sant’Ilario 18 poi via Garibaldi 6, cui subentrerà E. Camurati ai primi del ‘900; Carlo Giovara, 1880 ca, Via Vittorio Emanuele II (Palazzo Treville) e piazza dell’Addolorata, Casa Cerinola, con succursale a Chivasso; A. Manfredi, attivo dal 1883 a Torino, Via Lagrange 15, poi dal 1893 al 1895 in Piazza San Carlo 4, che possedeva anche una succursale a Casale, Piazza dell’Ospedale di Carità, 6  ove subentreranno prima del 1899 Giuseppe Menzio e F. Rota (presente al Congresso di Firenze del 1899) prima di aprire ciascuno studio proprio. E ancora: Premiata Fotografia (Fotografia e Pittura)   Angelo Bensi, 1890 ca, piazza Carlo Alberto 2, cui succederà  Ezio Bensi, titolare dello Stabilimento Fotografico Arte Moderna, 1908, Viale Regina Margherita 2 e Via Ricovero (casa Ing. Masazza), citato all’Esposizione del 1909 per “gli ingrandimenti degli autopastelli” [sic] di Leonardo Bistolfi e dell’Archinti” (Ettore Archinti, 1878 – 1944).

Altri studi e fotografi seguiranno nei decenni successivi come A. Armani, attivo dal 1920, Battaglieri, Goffredo Calvi, con notizie nel 1907,  Colombino, La Fotoelettra, Foto Lori, dal 1925,  Melotti, C. Migliore e L. Piantone, mentre ancora più incerto è l’universo degli amateur photographers come quell’E. Morbelli (sotto cui potrebbe celarsi un refuso) di cui si pubblica un “superbo gruppo di piante” ne “Il Progresso fotografico” dell’ottobre 1898 o altri casalesi presenti all’Esposizione del 1909 come l’avvocato Silvio Montalenti, Felice Deambosi, il dott. Emilio Iaffe . “Bisogna però convenire – ricordava il redattore – che Casale e provincia, per quanto non sia un gran centro, ha però un forte nucleo di dilettanti che è ben difficile trovare altrove.” (“Il Progresso Fotografico”, 1909, pp. 126)

[4] Per una puntuale ed esauriente presentazione critica dell’ambiente torinese si veda Miraglia 1990.

[5] Nel 1863 aveva sposato la novarese Giulia Ravizza, con cui abitava in via Benvenuto San Giorgio “nella casa che fu dei Della Rovere di Casale” (Mattirolo 1925, p.10, nota 3), poi demolita nel secondo dopoguerra. La moglie era la prima figlia dell’avvocato Giuseppe Ravizza (Novara 1811- Livorno 1885), erudito cultore di storia e archeologia in stretta relazione con Theodor Momsen con cui redasse il Catalogo primo del Museo Patrio di Suno ed Appendice alle Memorie storiche.  Novara: Tip. Merati,  1877, più noto come inventore della prima macchina da scrivere a tasti, il  “Cembalo scrivano” del 1855, i cui cimeli “posseduti e custoditi gelosamente” da Federico Negri vennero esposti nel padiglione Olivetti dell’Esposizione agricolo-zootecnica di Novara del 1926, cfr. Aliprandi 1931, da cui pervennero al Museo della Scienza di Milano, che conserva anche un ritratto di Giuseppe Ravizza con la moglie Ernesta  Brosio e la seconda figlia Elisa realizzato da Francesco Negri nel 1864,  donato al Museo proprio dal figlio Federico nel 1931. Colgo l’occasione per ringraziare Paola Mazzucchi, responsabile della Biblioteca del Museo per avermi cortesemente fornito alcuni dati in merito alla provenienza di questi oggetti.

[6] Cfr. qui La biblioteca del fotografo.

[7] Quale ulteriore testimonianza della prima pratica fotografica di Negri segnaliamo che nella lastra 10B144 compare una camera oscura portatile per la preparazione di lastre al collodio, non dissimile da quella usata circa negli stessi anni dal pastore valdese David Peyrot e oggi compresa nelle collezioni del Museo nazionale del Cinema di Torino.

[8] Dopo i primi esempi riferibili all’avvio della sua attività fotografica, la consuetudine di annotare ai bordi della lastra i dati di ripresa e sviluppo con più rare indicazioni relative al soggetto fu riavviata intorno al 1885 per proseguire ininterrotta sino alle ultime lastre, datate maggio 1915.

[9] Henry Festig Jones ricordava come il padre di Negri (gran cacciatore, morto per la puntura di una zanzara) abitasse proprio a Ramezzana, avendo sovente come ospiti  Cavour e il principe Dal Pozzo della Cisterna, ma anche Vittorio Emanuele II, che volentieri coccolava il piccolo Francesco; cfr. Jones 1919, p. 113.

[10] Disderi 1862, ora in Frizot, Ducros 1987, pp.  36- 47 (39).

[11] Si confronti ad esempio il ritratto di un giovane prelato in piedi, poggiato alla spalliera di una sedia tenuta in equilibrio, [9C138] con l’identica posa del [Ritratto della moglie] di Giuseppe Alinari, 1870 ca, in Quintavalle 2003, p. 273.

[12] Bertelli 1979, p. 76.

[13] Ricordiamo come a questa data fosse già in relazione col botanico Vincenzo Cesati (Milano 1806 – Vercelli 1883), che gli dedicò uno Xantium, che lo stesso Negri aveva trovato per primo a Castell’Apertole (Livorno Ferraris), cui  secondo Oreste Mattirolo 1925, p.7 lo legavano anche “aspirazioni patriottiche comuni”. Ancora alla relazione con Cesati si doveva la conoscenza con Antonio Stoppani (Lecco 1824 – Milano 1891) [che definì Negri “distinto botanico”] segnalata ancora da Mattirolo 1925, p. 8 e poi ripresa da tutti i commentatori successivi, che Negri accompagnò  alle cascate del Toce, redigendo quell’elenco “delle specie crescenti nell’Alta valle del Toce” che fu pubblicato ne Il Belpaese, 1875.  L’immutato interesse per la botanica è documentato fotograficamente da una serie di stereoscopie datate aprile 1899. (R0096654- R0096658)

[14] Didi-Huberman 1986, p. 71, corsivi dell’autore.

[15] Allo stesso anno risale Moitessier 1866, un trattato molto noto che ben documenta la fase di massimo successo in ambito fotografico di questo genere di immagini, che consentivano agli studiosi di colmare il vuoto filogenetico tra organismi inferiori (dai batteri alle alghe) e superiori (l’uomo) in maniera compatibile con il gradualismo evoluzionista delle nuove teorie darwiniane ( Jeffrey 1999, p. 38). Lo stesso editore  aveva pubblicato nel 1845 l’Atlas du Cours de Microscopie Donné e Foucault, considerata la più antica pubblicazione di fotomicrografia. Già il 17 febbraio del 1840 Alfred Donné (1801 – 1878) professore al College de France, aveva presentato all’Accademia delle Scienze di Parigi per il tramite di Jean-Baptiste Biot delle fotomicrografie su dagherrotipo ottenute alla luce ossidrica grazie ad un microscopio solare (Corcy 2003, p. 64). Quasi negli stessi giorni, il 4 marzo,  il medico e matematico viennese Andreas Ritter von Ettingshausen (1796 – 1878) aveva realizzato la fotomicrografia di una sezione di Clematis (Frizot 1994, p. 276; Marien 2002, p. 34), ma come è noto già tra gli esemplari fotografici di Talbot presentati da Michael Faraday alla Royal Institution il 25 gennaio 1839 si trovavano immagini di ingrandimenti, tra cui l’ala di un insetto (Frizot 1994, p. 276; Jeffrey 1999, p. 35).

[16] Zannier 1986, p. 171.

[17] Diversamente dall’uso ottocentesco, proprio anche di Francesco Negri, per le riprese fotografiche ottenute per il tramite del microscopio utilizziamo il termine “fotomicrografia” e non  “microfotografia” con cui più specificamente oggi si intendono i processi di miniaturizzazione delle immagini.

[18] Diresse il Gabinetto di crittogamia del “Giornale Vinicolo Italiano” dal 1869-1879 ed entrò in relazione di studio con importanti ricercatori internazionali come Felix von Thumen, che gli dedicò il micromicete Phoma Negriana . La sua produzione venne tempestivamente segnalata da Angelo De Gubernatis, che lo inserì nel proprio Dizionario del 1879 (II, pp. 1221-1222) come “scrittore piemontese, avvocato.”

[19] Negri, Pisolini 1882 Contribuzione allo studio dei bacilli speciali delle tubercolosi. Firenze: Tip. Cenniniana, 1882, estratto da “Lo sperimentale: giornale italiano di scienze mediche”, Agosto 1882.  Pisolini era il medico che gli fu vicino anche nel giorno della morte, il 21 dicembre 1924.

[20] Greco 1969, pp. 86-87, cui si rimanda per la descrizione analitica degli esiti fotomicrografici di Negri.

[21] Questa emergenza sanitaria costituì l’occasione per la pubblicazione di Negri, Cassone 1885.

[22] Bertelli 1979, p. 76; che considerazioni di ordine estetico potessero convivere con  intenzioni di accuratezza documentaria, non essendo di fatto in contraddizione tra loro è testimoniato non solo da buona parte della cultura ottocentesca, ma anche più in particolare da molta fotografia naturalistica e micrografica. Penso, per esemplificare,  ad un autore come Giorgio Roster, il cui percorso professionale e di ricerca ha più volte incrociato il cammino di Negri, per il quale rimando a Principe, Sensi, Casati 2004.

[23] Butler 1888, con 21 tavole f.t. da fotografie dell’autore, che proprio a questo scopo aveva preso lezioni in Inghilterra nell’inverno del 1887, cfr. Jones 1919, p. 109.  L’edizione italiana riveduta e ampliata, tradotta da Angelo Rizzetti, venne pubblicata a Novara nel 1894 dalla Tipo-Litografia dei Fratelli Miglio con una titolazione semplificata (Ex Voto. Studio artistico sulle opere d’arte del S.Monte di Varallo e di Crea) ma con un apparato iconografico lievemente ampliato. L’archivio fotografico di Butler, oggi conservato alla St John’s College Library dell’Università di Cambridge, è costituito da circa 1600 negativi su lastra (databili 1888 – 1898) e da cinque album contenenti complessivamente circa 1700 stampe con una cronologia compresa tra 1891 e 1898. Cfr. https://archiveshub.jisc.ac.uk/search/archives/516c6af9-031d-3239-b4db-668ec60a0dcd?component=0a2d1de2-378b-3bd7-b37e-e891b3c16d39  (dicembre 2022). La sua produzione fotografica è stata studiata da Shaffer 1988 e presentata in Butler 1989. Butler era andato a Casale già nel settembre del 1887, provenendo da Alagna dopo essere disceso a Gressoney attraverso il Col d’Olen, proprio per estendere le proprie ricerche su Tabacchetti, ma non pare che in quell’occasione avesse avuto modo di conoscere Negri.

[24] Mattirolo 1925, p.14 nota 1 ricorda che Negri scrisse il necrologio di Butler, non reperito in questa occasione né citato da altre fonti.

[25] Si vedano i diversi contributi pubblicati in Barbero, Spantigati 1998 e in particolare Maria Carla Visconti Cherasco, La nuova vita del Sacro Monte nell’ottocento fra ripristini e rinnovamento devozionale, pp.123-136.

[26] BCCM- Fondo Negri: Scat.42, 43.

[27]“Prendo l’occasione del nuovo anno per mandarle alcune fotografie prese a Crea mentre l’estate passato (sic). Lei vedrà subito che alcune sono cattivissimi restauri, furono fatti 30 anni fa da un certo padre Latini”, citato  in Durio 1940, p. 86. Le riprese si riferiscono  a un gruppo di pellegrini, alla cappella di sant’Eusebio (4 riprese di statue attribuite a Tabacchetti) e a quelle delle Nozze di Cana e della Natività, e portano tutte la data del 14 settembre 1891, mentre al giorno successivo risalgono un’immagine di bambini e il doppio ritratto di Don Minina e Francesco Negri, entrambe realizzate a Casale.

[28] Negri 1892  dedicato all’attività di Martino Spanzotti e della sua scuola, col corredo di due riproduzioni in fototipia delle vetrate (di cui si conservano i negativi), primo frutto delle sue ricerche di storia dell’arte condotte con rigoroso metodo di ricerca: “Da provetto legale quale egli era, applicò alle sue ricerche la severità delle regole procedurali, cercando di documentare ogni sua asserzione con riferimenti a contratti; a tavole testamentarie; a inventari, ecc. frugando negli archivi della sua regione per giungere a sbrigare le arruffate matasse che si riferivano alle biografie degli artisti casalesi”, Mattirolo 1925, p. 9.

[29] La possibilità di rendere efficacemente il gesto tradotto realisticamente da Tabacchetti venne affrontata da Negri anche in termini letterari nel saggio del 1902, in cui, dopo una notazione etico-politica sulla capacità del plasticatore di dare “al martirio l’impronta di una esecuzione capitale non tumultuosa e selvaggia, ma sebbene ordinata da un potere costituito su regole determinate  e regolari”, procedeva ad una interpretazione verista della scena, sottolineando “la movenza [del santo]  così naturale da spingere a dargli aiuto, a sostenerlo”,  come la “triste malvagità incosciente [della vecchia] che sia alza sulla punta dei piedi e allunga il collo fra due soldati per ben vedere.” (Negri 1902, p. 36).

[30]Per le suggestive relazioni tra scultura e fotografia cfr. Pygmalion Photographe 1985; Sculpter-Photographier 1991; Skulptur 1998.

Anche in altre occasioni lo sguardo di Negri procede oltre la pura documentazione per sottolineare la teatralità delle figure [740, Cappella del Paradiso] o cedere ad una bonaria ironia [361d, Cappella del Paradiso]. Diverso atteggiamento avrà nei confronti di opere bidimensionali come le vetrate o la grande Madonna col Bambino e Santi [48C] di Macrino d’Alba, ripresa più volte nella biblioteca del convento (?) forse anche per ottenerne una riproduzione in tricromia oggi non reperibile, ma che avrebbe potuto far parte delle “ben  riuscite proiezioni a colori del Cav. Avv. F. Negri” presentate da Pietro Masoero nel corso della sua conferenza Arte e fotografia tenuta in occasione dell’Esposizione di Lodi il 9 settembre 1901 (citato in “La Sesia”, 13 settembre 1901)

[31]Pubblicata in facsimile in Greco 1969 p. 24. Dopo la  morte di Butler (18-6-1902) gli esecutori testamentari H.F. Jones e R. A. Streatfeild  donarono a Negri uno schizzo a olio eseguito dallo scrittore nel 1871, in occasione del suo primo soggiorno a Varallo, “Preso dalla soglia della chiesa dell’Assunta” (Durio 1940, p. 22, nota 3).

[32] Negri 1902. Il casalese espresse a sua volta  “lode a Samuel Butler il quale, innamorato delle opere del Giovanni [Tabacchetti] ne scrisse a lungo nel suo Ex Voto non solo, ma nello intento di conoscerne il casato e l’origine si portò anche a Dinant” (Negri 1902, p. 65). Gli esiti delle sue ricerche avevano però portato alla  definitiva confutazione delle prime ipotesi formulate da Butler, tanto che al momento della riedizione dei suoi saggi, già comparsi in “The Universal Review”, il suo “esecutore letterario”  R. A. Streatfeild  decise di non ripubblicare la prima parte di A Sculptor and a Shrine. “Had Butler lived he would either have rewritten his essay in accordance with Cavaliere Negri’s discoveries, of which he fully recognized the value, or incorporated them into the revised edition of Ex Voto, which he intended to publish. As it stands, the essay requires so much revision that I have decided to omit it altogether.”, Richard Alexander Streatfeild, Introduction,  in Butler 1913. Per la prima volta nella storiografia artistica dedicata al Santuario, alle ricerche condotte direttamente sulle fonti  archivistiche e bibliografiche, corredate da una articolata  analisi storico-critica delle opere, faceva da riscontro la documentazione fotografica intesa quale ulteriore e specifico strumento d’indagine ma anche – sebbene in misura ridotta per esigenze di economia editoriale – di comunicazione, di illustrazione non subordinata al testo bensì a questo complementare, secondo il modello ancora una volta costituito dal saggio dell’amico Butler sugli Ex Voto, corredato da un apparato di illustrazioni che “The Spectator” aveva definito “strange and fascinating”. Tra 1891 e 1900 le prime riproduzioni fotografiche a comparire in volumi dedicati a Crea (Damonte 1891; Locarni 1900 ) si limitavano a una veduta generale e al prospetto della chiesa, sempre da riprese Negri, e ancora in Crea 1900, il numero unico pubblicato in occasione del pellegrinaggio diocesano al Santuario di Crea, con brevi scritti di F. Negri, G. Giorcelli, F. Valerani e altri, la sola cappella documentata era quella – da poco terminata – della Salita al Calvario, già da lui fotografata ma qui illustrata con fotografie attribuite a Giovanni Augusto De Amicis, cfr. Cavanna 1998.

[33] Gli studi sul Moncalvo (Negri 1895-1896) di cui nel 1893 fotografò gli affreschi nella chiesa di San Michele a Candia Lomellina, scat. 61,  figura ben più rilevante per la connotazione complessiva del complesso monumentale del Sacro Monte, confluirono in parte negli scritti dedicati a Crea, apparsi in forma definitiva nel 1902 ma sinteticamente anticipati in Crea 1900.

[34] Carlo Dell’Acqua (1834-1909), Direttore della Regia Biblioteca Universitaria di Pavia dal 1879 al 1883, gli inviava il numero de “Il Ticino”, del 1 marzo 1899 in cui era pubblicato il suo articolo Di Ambrogio Volpi da Casale insigne scultore ed architetto alla Certosa di Pavia (1567-1576) poi recensito da anonimo (Francesco Negri?) ne “L’Avvenire. Gazzetta del Monferrato” del 7 aprile 1899.

[35] Gustavo Frizioni (1840-1919), con cui Negri era in relazione almeno dal 1891, anno in cui gli aveva inviato alcune riproduzioni di dipinti chiedendogli pareri, gli scriveva da Milano il 20 febbraio 1904 “Mentre conservo gratissimo ricordo del capolavoro di Macrino a Crea Le sono riconoscentissimo della fotografia nuovamente mandatami. Mi serve di ottimo riscontro per una grande tavola che è certamente di lui, passata in America sotto il nome di Ghirlandaio.”,  BCCM – Fondo Negri, Corrispondenza.

[36] La relazione epistolare con lo studioso milanese, tra i promotori nel 1901 con Luca Beltrami, Luigi Cavenaghi, Francesco Malaguzzi Valeri, Gaetano Moretti, Corrado Ricci e altri della “Rassegna d’arte”, datava almeno dal 1901 e divenne progressivamente più confidenziale, sino a un colloquiale “tu” nel 1905. Dopo una prima segnalazione dello studioso milanese ne “La Lega Lombarda” del 1 luglio 1904 (cfr. Villata 2000, pp. 144-147) Diego Sant’Ambrogio dedicò a questo tema il saggio Il trittico di Macrino d’Alba nella cappella episcopale di Tortona, pubblicato nel “Bollettino della Società per gli studi di storia, d’economia e d’arte nel tortonese”, n. 5, 1906, poi riedito da A. Rossi, Tortona, 1906, cfr. Samek-Lodovici 1946.

[37] Colli, Negri, Rastelli [1914] 1996. Il Canonico Prof. Colli,  in relazione di studio anche con Luigi Gabotto, aveva da poco pubblicato il volume Crea, storia, cronologia, arte, culto, etc. Casale Monferrato: Tip. Editrice Ditta O. Pane, 1913, e ancora nel 1926 sarebbe tornato a percorrere la scia degli studi artistici di Negri con un saggio dedicato a Il Moncalvo, pubblicato dal Comitato per le Onoranze a Guglielmo Caccia. Nello stesso 1914 Colli e Negri collaborarono a De Amicis et al. 1914. Il sacerdote vercellese Alessandro Rastelli (1883 – 1960), viceparroco a Trino dal 1915, fu il fondatore dell’OFTAL (Opera Federativa Trasporto Ammalati a Lourdes). Le ventiquattro fotografie che costituiscono l’apparato iconografico del volume rappresentavano una novità significativa per l’editoria di soggetto trinese di quegli anni sia per la consistenza e la qualità complessiva sia per la figura dell’autore,  uno dei pochi sacerdoti a praticare la fotografia in quegli anni.  Sono prevalentemente immagini di architettura, complessivamente di buona qualità e tecnicamente ben eseguite, con inquadrature ordinate e precise, perfettamente in linea con i canoni della documentazione fotografica dell’architettura che si erano andati formando nel corso del XIX secolo. La loro precisa applicazione da parte di Rastelli lascia supporre un interesse ed una pratica non occasionali ed anzi ormai ben consolidati all’epoca della realizzazione del volume, e nella stessa direzione ci portano le nitide fotografie di interni, di ancor più difficile realizzazione. In assenza di dati precisi risulta quasi ovvio collocare la formazione fotografica di questo sacerdote proprio in quell’ambiente vercellese da cui proveniva, ricco di professionisti e dilettanti di buon livello quali Pietro Boeri, Pietro Masoero ed Andrea Tarchetti, ma evidentemente non è da escludere un ruolo di supporto e regia svolto dallo stesso Francesco Negri, cui Rastelli scriveva il 6 ottobre 1914, a poco meno di un mese dalla pubblicazione del volume,  per aggiornarlo sull’andamento della campagna documentaria: “Ho fatto invece quella del capitolo (interno) Non so però se potrà servire. Tutt’intorno sacchi e cesti di tagliarisi forestieri, e attorno alla colonna di mezzo trenta cent.[imetri] di paglia, il giaciglio dei medesimi”, ricordando che sarebbe andato “fra alcuni giorni” a fotografare il piccolo quadro dello Spanzotti a Trino, BCCM – Fondo Negri: Manoscritti, cartolina del 6 ottobre 1914. La foto dell’aula capitolare venne poi pubblicata (p.42) e costituisce ora un’importante testimonianza delle condizioni d’uso e soprattutto di vita nelle grange all’inizio del Novecento, mentre non venne utilizzata la riproduzione del “piccolo quadro”, cioè la Madonna col Bambino di Martino Spanzotti nella chiesa trinese di San Domenico, cfr. Cavanna 1996.

[38] Si veda a questo proposito quanto detto in Cavanna 1996, pp. XI- XII.

[39] Cavanna 1985.

[40] Nel Fondo sono conservate anche tre stampe all’albumina 18×24 ca di Secondo Pia, raccolte sotto il titolo Affreschi della Cappella di S. Margherita di Antiochia dell’Abbazia di Crea attribuiti a Cristoforo Moretti di Cremona.

[41] Cfr. Falzone del Barbarò, Borio 1989.

[42] Pia tornerà, come suo costume, più volte a Crea nei decenni successivi (1888-1919) realizzando complessivamente più di trenta riprese dedicate specialmente alle opere d’arte conservate nel santuario, alcune riprodotte eccezionalmente a colori con la tecnica dell’autocromia (1909-1910). Va qui notato  come la serie relativa alla statuaria delle cappelle, realizzata a partire dal 1902, sia  verosimilmente debitrice proprio della pubblicazione del saggio di Francesco Negri.

[43] Le immagini di Crea facevano parte di una serie dedicata alle Chiese della provincia di Alessandria, poi presentata alla Esposizione Generale Italiana di Torino del 1884, cfr. Fotografi del Piemonte, 1977, pp. 29-30.

[44] Gabotto b  1925, p. 82, redatto poco dopo la solenne commemorazione di Negri tenuta a Crea da Oreste Mattirolo, con apposizione di una lapide commemorativa sulla facciata della chiesa. Un primo necrologio era già stato pubblicato nel febbraio dello stesso anno, Gabotto a, 1925.

[45] Come testimonia il pur impoverito Fondo fotografico, Negri ha utilizzato circa 20 formati negativi diversi, sovente corredati di notazioni autografe, dalle lastre 18×24 alle pellicole 17mm, ciò che fornisce indicazioni anche sulla ricchezza e varietà della strumentazione in dotazione, oggi presente nel Fondo in modo scarsamente significativo.

[46] Roster 1899, p. 25, che riprende in forma quasi letterale il concetto – del resto ampiamente condiviso da tutta la cultura di secondo Ottocento – espresso da Jansen dieci anni prima e posto in esergo a questo saggio.

[47] La quasi totale assenza di positivi impedisce – come già abbiamo notato – di valutare compiutamente gli esiti finali del lavoro fotografico di Negri, ciò che comporta l’assumersi il rischio di valutazioni a volte non documentalmente sostenute in modo soddisfacente, ma ci pare di poter ascrivere allo stesso piacere di reinvenzione del reale mostrato dalle esposizioni multiple anche il ricorrere di immagini stereoscopiche in cui la sovrapposizione dei bordi contigui dei due stereogrammi genera affascinanti paesaggi d’invenzione [8e16].

[48] Questo atteggiamento è efficacemente testimoniato dalla piccola serie di riprese ‘rubate’ col teleobiettivo [72A, 824B, 534].

[49] Brevettato nell’ottobre del 1886 dal tedesco Carl P. Stirn.

[50] È stata proprio la fotografia a contribuire a definire in senso moderno, visualizzandolo,  il concetto di istante. Quando nel 1886 Albert Londe – di cui Negri possedeva La photographie moderne, pratique et applications, 1888 – decise di intitolare il proprio volume Photographie instantanée, la comprensione di ciò che questo termine designasse era ancora incerta, tanto più la sua definizione, cfr. Gunthert 2001, p. 66.

[51] Alla definizione di questo nuovo genere che dapprima non prevedeva il riconoscimento di alcuno statuto, contribuirono non poco i milioni di immagini prodotte ad uso personale e destinate ad essere relegate nell’ambito della fruizione privata, da cui riusciranno a emergere e svincolarsi solo  in virtù  della loro natura essenzialmente quantitativa di fenomeno, giungendo poi a contribuire  significativamente all’accrescimento delle modalità linguistiche della fotografia del XX secolo.

[52] Bricarelli 1913, sottolineature dell’autore,  citato in Stefano Bricarelli 2005, p. 15, cui si rimanda per ulteriori riferimenti e citazioni.

[53] Marien 2002, p. 170.

[54] Penso allo Stieglitz newyorkese ad esempio, ma anche alle riprese di  Paul Martin a Londra, come alla sublime leggerezza di Jacques-Henri Lartigue.

[55] Gunthert 2001, p. 72, traduzione di chi scrive, corsivi dell’autore.

[56] Non mi pare che Negri intendesse invece raccontare i protagonisti della scena urbana, come faceva ad esempio Alessandro Perelli a Milano proprio nel 1910-1915, o più tardi Luciano Morpurgo, al di fuori della sua produzione più smaccatamente pittorialista.   Una familiare libertà presente in alcune immagini può semmai  avvicinarlo al Michetti delle foto al mare o all’operare di Giuseppe Michelini a Bologna.

[57] Si trattava di un “un apparecchio di cinematografia” messo in commercio in Italia a partire dal 1912, che consentiva di realizzare su ciascuna lastra  nel formato 9,5×9 84 fotogrammi cadenzati in sequenza a partire dall’alto secondo un ordine che potremmo definire bustrofedico e di cui si sono conservate nel Fondo 7 lastre negative e 40 positive.

[58] Secondo Rictor Norton ad esempio il successo di Bathing Boys, opera del pittore inglese Henry Scott Tuke (1858-1929) fu così folgorante che centinaia di amatori fotografi e pittori corsero a misurarsi con questo soggetto. Per questo due anni più tardi, nel 1890, la Amateur Swimming Association impose che tutti i concorrenti dovessero indossare i pantaloncini da bagno durante le gare,  cfr. Rictor Norton, The Beginnings of Beefcake, https://rictornorton.co.uk/beefcake.htm  (30 11 2022).

[59] Josef Maria Eder, Der Momentphotographie. Wien, 1884, pp.9-10, citato in Gunthert 2001, pp. 80, traduzione di chi scrive.

[60] È del 25 aprile 1892 la prima prova documentata, una veduta di Casale da Sant’Anna “m.1500 40 ist. 4 pom”, forse realizzata ancora con quel rudimentale dispositivo “formato di due tubi di cartone”  che venne poi  esposto all’ammirazione di tutti nella sezione storica della “Prima esposizione internazionale di fotografia, ottica e cinematografia” curata da Annibale Cominetti, come si ricava dalla sua lettera di condoglianze inviata al figlio Federico, citata in Gasparolo 1925, pp. 9-19. Nel maggio del 1894 proseguirono le sperimentazioni per il formato 18×24 adottando diverse combinazioni di lenti, successivamente indicate come “Tel. I”, quindi “Tel. II” (lastra 246, 1895), e infine “Tel. III”, con cui riprese nel 1896 un panorama in cinque lastre del Monte Rosa visto dalla cima dello Zebion in Val d’ Ayas,  successivamente stampato da Vittorio Sella intorno alla metà degli anni Trenta del Novecento. Due anni dopo la messa in produzione da parte di Koristka (Milano: via Revere 2, poi Piazza d’Armi Vecchia 59, angolo via Bersaglio 2) officina che produceva obiettivi su licenza Zeiss ed era la rappresentante italiana della ditta Haas di Francoforte (Contini 1990, p. 110), il nuovo teleobiettivo, “il primo in Italia, fra i primi nel mondo” (Masoero 1900), venne presentato dallo stesso Negri ai partecipanti al primo Congresso Fotografico Italiano, che si tenne a Torino nel 1898.

[61] Altre serie di immagini riguardano le esposizioni casalesi (1900) e torinesi (1898, 1902). Mentre alla locale esposizione vinicola documenta sistematicamente i padiglioni con i relativi addetti rigorosamente in posa, a Torino Negri si aggira liberamente tra quelle fantastiche e innovative architetture effimere. Qui è un visitatore anonimo, libero di orientare ovunque, inavvertito, la propria curiosità; là era l’avvocato Negri, già Sindaco, notoriamente fotografo.

[62] “Hai fatto la risaia andando a vederla presso Casale e ritornando poi a casa a lavorare il quadro a memoria hai condotto le figure servendoti di fotografie” rimproverava Giuseppe Pellizza da Volpedo all’amico a proposito della realizzazione del dipinto Per ottanta centesimi  in una lettera databile tra 1896 e 1897, citata da Luciano Caramel 1982. Non è escluso che quelle immagini fossero state realizzate dallo stesso pittore, dilettante fotografo, ma va almeno segnalata la presenza nel Fondo Negri, di cui sono note le relazioni di amicizia con Morbelli, di due immagini di risaia [573A, 575A] altrimenti inconsuete per la sua produzione, che potrebbero essere state realizzate proprio su richiesta dell’amico, di cui Negri documentò almeno tre opere: S’avanza (1896), Venduta (1897) e l’Autoritratto con modella (1900-1901). Chiunque ne sia stato l’autore, queste due riprese possono essere considerate le più antiche immagine di un gruppo di mondine al lavoro e costituiscono il primo momento di definizione tipologica del modello iconografico di rappresentazione del tema: le mondine al lavoro riprese di schiena, ricurve, immerse nell’orizzonte lungo dei campi allagati. Strumenti di lavoro ancor prima che persone, negate nella loro identità, cfr.  Cavanna 2000. I rapporti Morbelli – fotografia sono stati analizzati da  Marisa Vescovo 1982.  Va ricordato inoltre che il figlio di Morbelli, Alfredo, esercitò la professione di fotografo a Varese nel periodo 1920-1940 senza però avvicinarsi se non tangenzialmente ai temi di matrice verista affrontati dal padre; cfr. Morbelli & Morbelli, 1995.

[63] Toffoletti, Zannier 1990.

[64] Miraglia 1990, pp. 91 nota 124.

[65] “ ‘Veduta’ e ‘panorama’ (…) sono due generi elaborati dalla tradizione manuale della pittura (…) in epoche fra loro diverse e distanti, ma ambedue nati, almeno nelle intenzioni, con l’intento di rappresentare le cose come realmente sono”, mentre il ‘paesaggio’ va inteso “come espressione del sentimento” individuale dell’autore, cfr. Miraglia 2006, pp.15, 19.

[66] Infinitamente 2004.

[67] Sella 2006. È verosimile che tramite della loro conoscenza fosse il Club Alpino Italiano, che nel 1879 aveva designato Negri membro della Commissione di un non meglio specificato “concorso per lavori sulle montagne italiane”, Gasparolo 1925, p. 8.

La stampa, recentemente ritrovata e segnalatami da Daria Jorioz, capo del Servizio Attività Espositive della Regione Autonoma Valle d’Aosta, che qui ringrazio, è una ripresa panoramica in cinque parti del Monte Rosa dal Zerbion (St. Vincent–Ayas), datata 1896 e stampata da Vittorio Sella da “Telefoto Negri Avv. Francesco”.  La versione a contatto di questo stesso panorama compare in una stereoscopia dello studio di Negri [23e29].

[68] Tricromia (detta anche eliocromia indiretta o analitica), metodo indiretto per la realizzazione di immagini fotografiche a colori messo a punto indipendentemente da Charles Cros e Louis Ducos du Hauron tra 1867 e 1869, poi successivamente modificato. Di ciascun soggetto, di necessità statico, Negri realizzava su lastra tre negativi di selezione utilizzando ogni volta un filtro di colore primario: verde, rosso-arancio e bluvioletto, questo infine abbandonato “perché dannoso, producendo esso negative monotone anziché contrastate, quali occorrono per il monocromo giallo.” Ciascuna lastra veniva successivamente stampata a contatto su “pellicole rigide alla gelatina-bromuro della A.G.F.A. di Berlino, le uniche che non si alterano mai, stante la bontà della celluloide”, trattate con bicromato di potassio e quindi colorate nei tre colori complementari (rosso porpora/magenta, azzurro-verde/ciano e giallo). La sovrapposizione a registro delle tre gelatine colorate restituiva, per sintesi sottrattiva,  i colori del soggetto, perfettamente leggibili per trasparenza, cfr. Negri 1906.

[69] A queste vanno aggiunti gli esemplari conservati in collezione privata, ma le stesse vicende di costituzione del Fondo della Biblioteca Civica di Casale Monferrato lasciano intendere la possibilità di ulteriori futuri ritrovamenti, cfr. Cavanna 1991.

[70] Negri 1906. Il nove settembre 1901 alcune “ben  riuscite proiezioni a colori del Cav. Avv. F. Negri” vennero presentate da Pietro Masoero nel corso della conferenza dedicata ad “Arte e Fotografia”, tenuta in occasione dell’Esposizione di Lodi, cfr. “La Sesia”, 13 settembre 1901. Doveva trattarsi di riproduzioni di dipinti, di cui però oggi si conservano le sole riprese di selezione, non i risultati finali.  Per l’aspirazione al colore nella fotografia di documentazione d’arte cfr. Cavanna 1985.

[71] Cfr. Costantini 1994. Negri visitò l’Esposizione il giorno 23 maggio, realizzando con un apparecchio Vérascope una bella serie di vedute stereoscopiche destinate alla duplicazione in positivo su lastra (per proiezione quindi), cfr.  Cavanna 1994. Prima di questa occasione Negri aveva già preso parte  all’Esposizione Nazionale di Milano organizzata dal Circolo Fotografico Lombardo nel 1894, cui parteciparono anche Grosso, Sella e, tra i professionisti, Masoero e Pietro Santini. All’Esposizione Fotografica Internazionale tenutasi a Firenze in occasione del secondo Congresso Fotografico Italiano (1899) espose con Guido Rey nella sezione dilettanti,  presentando immagini scientifiche, per le quali  gli fu assegnato un “Diploma di medaglia d’argento” di III grado nella classe VI-VII (Scientifica). L’anno successivo prese parte all’Esposizione Fotografica Internazionale organizzata dalla neonata (1899) Società Fotografica Subalpina di Torino, presentando “telefotografie e microfotografie”, poste “accanto ai lavori esposti dall’Istituto geografico militare. (…) Presenta il gruppo del Gran Paradiso in 4 pezzi 18×24, senza alcun ritocco e di tale bellezza e nettezza da ritenerlo una veduta diretta; il Ruitor (…) con un ingrandimento di 15 diametri ed a 30 chilometri di distanza. Vi si ammira uno splendido effetto di ghiacciaio. Un gruppo del Monte Bianco ed il Monte Rosa da Riva Valdobbia pure bellissimi.”,  Masoero 1900, pp. 138-139. L’assenza in lui di qualsiasi velleità artistica sembra confermata dalla partecipazione  – nella categoria “B” riservata agli abbonati – alla IV Esposizione Internazionale di Fotografia Artistica e Scientifica che si svolse a Torino nel 1907, promossa dalla rivista “La Fotografia Artistica”. Qui non presentò alcuna immagine a colori, ma espose vedute di castelli valdostani (Fènis, Ussel, Verrès, Montjovet) e temi valsesiani (Riva Valdobbia, un dipinto nella chiesa di Valdobbio) ma soprattutto  fotomicrografie batteriologiche (polmonite, tubercolosi, tetano, tifo e colera asiatico “da preparazione avuta direttamente dal dott. Koch”), per le quali gli fu assegnato un diploma di medaglia d’argento.  Solo nel 1909, all’Esposizione Nazionale di Fotografia che si tenne a Casale Monferrato  dal 16 al 23 marzo in occasione della Fiera di San Giuseppe, nei locali dell’Accademia Filarmonica Negri presentò  “nove quadretti di fotografie a colori tra cui furono trovati stupendi senza esagerazione, un cespo di rose e tre paesaggi montani.” Ormai a suggello del suo  lungo e qualificato impegno, in quell’occasione gli fu assegnato il “Gran diploma e medaglia d’argento del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio per il contributo da lui portato all’arte fotografica.”,  “Il Progresso Fotografico”, 1909, pp.62, 126.

[72] A causa dell’elevata deteriorabilità delle gelatine le tricromie vennero esposte a rotazione, ma ciò nonostante alcune risultarono danneggiate irreparabilmente, verosimilmente per un incidente occorso durante  l’esposizione stessa (3C114 = “Carbonizzata”; 5C114 “Esposizione di Torino 1902. Da giugno a novembre”).

[73] Masoero 1902. La sua maestria in questo settore venne opportunamente celebrata ancora vent’anni più tardi nei necrologi: “Fin dal 1863 il Negri praticò anche la fotografia, sia scientifica, che artistica, nonché di paesaggio: occupò molto tempo, e con mirabili risultati, nella fotografia a colori.”, Gasparolo 1925. “Fotografo valentissimo, tentò, durante gli albori della fotografia a colori, di emulare i professionisti. Eseguì fotografie policrome magnifiche di fiori, frutta e paesaggi che destarono la meraviglia di chi li vide; ma, come per tante altre sue creazioni, una volta congegnate e perfezionate per suo intimo diletto e per la gioia di riuscire, vennero abbandonate nei polverosi scaffali.”,  Gabotto c 1925.

[74] Falcone 1914.

[75] Nel Fondo Negri se ne conserva una ricca collezione, tutte purtroppo separate dai fascicoli originali, ormai perduti.

[76] “Se pubblico queste mie esperienze (…) lo faccio colla speranza di rendermi utile ai colleghi che desiderano occuparsi dell’arduo problema della tricromia.”,  Negri 1906, p. 44. Nella stessa occasione consegnava  alla SFI “anche una serie di belle tricromie” di cui si è persa ogni traccia.

 

 

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Marco Antonetto, Michele Falzone del Barbarò, Apparecchi fotografici italiani 1839/1911. Milano: Electa, 1980

 

Barbero, Spantigati 1998

Amilcare Barbero, Carlenrica Spantigati, a cura di, Sacro Monte di Crea. Alessandria: Cassa di Risparmio di Alessandria, 1998

 

Bencivenni, Dalla Negra, Grifoni 1992

Mario Bencivenni, Riccardo dalla Negra, Paola Grifoni, Monumenti e istituzioni, II. Firenze: SBAA per le provincie di Firenze e Pistoia, 1992

 

Bertelli 1979

Carlo Bertelli, La fedeltà incostante. Schede per la fotografia nella storia d’Italia fino al 1945, in Bertelli, Bollati 1979, pp. 57-198

 

Bertelli, Bollati 1979

Carlo Bertelli, Giulio Bollati, L’immagine fotografica 1845 – 1945, “Storia d’Italia”, Annali, 2. Torino: Einaudi, 1979

 

Bricarelli 1913

Stefano Bricarelli, Istantanee artistiche di scene animate, “Il Corriere Fotografico”, 10 (1913), n.8 agosto, pp.  2255-2260

 

Butler 1882

Samuel Butler, Alps and Sanctuaries.  London: David Bogue, 1882

 

Butler 1888

Samuel Butler, Ex voto. An account of the Sacro Monte or New Jerusalem at Varallo Sesia. With some notices of Tabacchetti’s remaining work at the Sanctuary of Crea. London: Trübner & Co., 1888

 

Butler 1913

Samuel Butler, The Humour of Homer and Other Essays.  London, Arthur C. Fifield, 1913

 

Butler  1989

Samuel Butler, the way of all flesh: photographs, paintings watercolours and drawings by Samuel Butler (1835-1902),  catalogo della mostra (Bolton, Bolton Museum and Art Gallery, 6 dicembre 1989-24 febbraio 1990; Nottingham, 2 ottobre – 6 novembre1990). Bolton: Bolton Museum and Art Gallery, 1989

 

Caramel 1982

Luciano Caramel, Angelo Morbelli: le ragioni del vero e quelle della pittura, in Angelo Morbelli 1982, pp.9-20

 

Cartier-Bresson 1984

Anne Cartier-Bresson, Les papiers sales: altération et restauration des premières photographies sur papier. Paris: Paris Audiovisuel, 1984

 

Casale Monferrato 1900

Casale Monferrato. Ricordo dell’Esposizione Industrie Monferrine e Fillosserica, maggio – giugno 1900. Casale Monferrato: Tipografia Editrice Giovanni Pane, 1900

 

Cavanna 1985

Pierangelo Cavanna,  Pietro Masoero: la documentazione della scuola pittorica vercellese, in Paola Astrua, Giovanni Romano, a cura di, Bernardino Lanino. Milano: Electa, 1985, pp.150-154

 

Cavanna 1990

Pierangelo Cavanna,  Inventariazione e preschedatura del fondo fotografico Negri, dattiloscritto, 1990

 

Cavanna 1991

Pierangelo Cavanna, Francesco Negri e la Biblioteca Civica di Casale Monferrato, “AFT”, 7 (1991), n.14, dicembre, pp.57-63

 

Cavanna 1992

Pierangelo Cavanna, Il Fondo Fotografico  della Biblioteca Civica di Casale Monferrato ed una mostra, “Fotologia”, vol.14-15, primavera/estate 1992, pp. 46-53

 

Cavanna 1994

Pierangelo Cavanna, Francesco Negri e l’Esposizione d’Arte Decorativa Moderna in Torino del 1902. Torino: Agorà editrice, 1994

 

Cavanna 1996

Pierangelo Cavanna, Una storia di terre, beati e contadini. Con alcune note d’arte, in Colli, Negri, Rastelli [1914] 1996, pp. i-xiii

 

Cavanna 1997

Pierangelo Cavanna, Per un repertorio delle immagini di Vezzolano, in Paola Salerno, a cura di, Santa Maria di Vezzolano. Il pontile. Ricerche e restauro. Torino: Umberto Allemandi & C., 1997, pp.68-77

 

Cavanna 1998

Pierangelo Cavanna, Cinquant’anni di sguardi. La fotografia scopre il Sacro Monte, in Barbero, Spantigati 1998, pp. 137-145

 

Cavanna 2000

Pierangelo Cavanna, Il trapianto del mito: acque, risaie, mondine nell’iconografia ottico-meccanica, “Studi di museologia agraria: notiziario dell’Associazione Museo dell’Agricoltura del Piemonte”, 17 (2000), n. 33, pp. 23-37 link

 

Colli 1913

Evasio Colli, Crea, storia, cronologia, arte, culto, etc. Casale Monferrato: Tip. Editrice Ditta O. Pane, 1913

 

Colli, Negri, Rastelli [1914] 1996

Evasio Colli, Francesco Negri, Alessandro Rastelli, Il B. Oglerio nella storia e nell’arte di Trino e di Lucedio, [1914]. Trino: Circolo Culturale Trinese, 1996

 

Colombo 1969

Cesare Colombo, a cura di, Francesco Negri fotografo a Casale 1841/1924. Bergamo: Coop. Il Libro Fotografico, 1969

 

Contini 1990

Maria Teresa Contini, Strumenti fotografici 1845-1950. Roma: Gabinetto Fotografico Nazionale – NER, 1990

 

Corcy 2003

Marie-Sophie Corcy, Jean Bernard Léon Foucault, in Le daguerréotype français. Un objet photographique, catalogo della mostra (Parigi – New York, 2003-  2004), Quentin Bajac, Dominique Planchon-de Font Réaulx, dir. Paris: Réunion des Musées Nationaux, 2003, pp.364-365

 

Costantini 1990

Paolo Costantini, «La Fotografia Artistica» 1904-1917. Torino: Bollati Boringhieri, 1990

 

Costantini 1994

Paolo Costantini, L’Esposizione internazionale di fotografia artistica, in Torino 1902. Le arti decorative internazionali del nuovo secolo, catalogo della mostra (Torino, 1994), a cura di Rossana Bossaglia, Ezio Godoli, Marco Rosci. Milano: Fabbri Editori, 1994, pp.95-179

 

Crea 1900 1900

Crea 1900, numero unico del «Corriere di Casale», 8-9-10 ottobre 1900

 

Darius 1984

Jon Darius,  Beyond Vision: One Hundred Historic Scientific Photographs. Oxford – New York: Oxford University Press, 1984

 

De Amicis et al. 1914

Giovanni Augusto De Amicis et al., Il Santuario di Crea. Casale Monferrato: Tipografia Ditta G. Pane,1914

 

De Feo, Ratti 2001

Claudia  de Feo, Guido Ratti, Indice centenario. La «Rivista di Storia Arte e Archeologia» dal 1892 al 1999. Alessandria: Edizioni dell’Orso, 2001

 

De Gubernatis 1879

Angelo de Gubernatis, Dizionario biografico degli scrittori contemporanei. Firenze: Successori Le Monnier, 1879

 

Didi-Huberman 1988

George  Didi-Huberman, La fotografia scientifica e pseudoscientifica, in Jean-Claude Lemagny, André Rouillée, a cura di, Storia della fotografia. Firenze: Sansoni, 1988, pp. 71-75

 

Donné, Foucault 1845

Alfred Donné, Léon Foucault, Atlas du Cours de Microscopie exécuté d’après nature au microscope daguerréotype.  Paris: J.B. Baillière 1845

 

 

Drudi Demby 1993

Lucia Drudi Demby, Introduzione, in Samule Butler, Erewhon. Milano: Adelphi, 1993

 

Durio 1940

Alberto Durio, Samuel Butler e la Valle Sesia. Da sue lettere inedite a Giulio Arienta, Federico Tonetti e a Pietro Calderini. Varallo Sesia: Tipografia Testa, 1940

 

Esposizione fotografica 1899

Catalogo della Esposizione fotografica in Firenze promossa dalla Società Fotografica Italiana, aprile-maggio 1899. Firenze:Tip. di G. Barbera, 1899

 

Esposizione Internazionale 1907

Esposizione Internazionale di Fotografia Artistica e Scientifica. Catalogo. Torino: Grafica Editoriale Politecnica [La Fotografia Artistica], 1907

 

Falcone 1914

Nicola Angelo Falcone, Il paesaggio italico e la sua difesa: studio giuridico-estetico. Firenze: Alinari, 1914

 

Falzone del Barbarò 1979

M.F.B. [Michele Falzone del Barbarò], Negri Francesco, in Fotografia Italiana dell’Ottocento 1979, p. 168

 

Falzone del Barbarò, Borio 1989

Michele Falzone del Barbarò, Amanzio Borio, a cura di, Secondo Pia Fotografie 1886-1927. Torino: Umberto Allemandi & C., 1989

 

Federico Negri s.d.

Associazione Ex-Allievi Liceo Ginnasio «Cesare Balbo», a cura di, Mostra retrospettiva dell’avv. Federico Negri. Casale Monferrato, s.d.

 

Fotografi del Piemonte 1977

Fotografi del Piemonte 1852-1899: Duecento stampe originali di paesaggio e di veduta urbana, catalogo della mostra (Torino, Palazzo Madama, giugno-luglio 1977) a cura di Giorgio Avigdor, Claudia Cassio, Rosanna Maggio Serra. Torino: Città di Torino – Assessorato per la Cultura – Musei Civici, 1977

 

Fotografia italiana 1979

Fotografia italiana dell’Ottocento, catalogo della mostra (Firenze – Venezia, 1979-1980) a cura di Marina Miraglia, Daniela Palazzoli, Italo Zannier. Milano –  Firenze: Electa Editrice –  Edizioni Alinari, 1979

 

Frizot 1994

Michel Frizot, La photomicrographie, in Id., dir., Nuovelle Histoire de la Photographie. Paris: Bordas, 1994, pp. 275-277

 

Frizot, Ducros 1987

Michel Frizot, Françoise Ducros, Du bon usage de la photographie. Une anthologie de textes. Paris: Centre national de la Photographie, 1987

 

Gabotto 1925a

Luigi Gabotto, Francesco Negri, “La Madonna di Crea”, 16 (1925), n.2, febbraio, pp. 15-16

 

Gabotto 1925b

Luigi Gabotto, Francesco Negri, “La Madonna di Crea”, 16 (1925), n.7, luglio, pp. 81-83

 

Gabotto 1925c

Luigi Gabotto, Francesco Negri. Casale Monferrato: Stabilimento Tipografico Successori Cassone, 1925

 

Garimoldi 1966

Giuseppe Garimoldi , Montagna – Città: autoritratto di un fotografo, in Mario Gabinio 1996, pp.37-46

 

Gasparolo 1925

Francesco Gasparolo, Cav. Uff. Avv. Francesco Negri , “Rivista di Storia, Arte, Archeologia per la Provincia di Alessandria”, 9 [34] (1925),  fasc. 33, pp. 9-19

 

Gilardi 1969

Ando Gilardi, Francesco Negri fotografo a Casale, “Popular Photography Italiana”, 13 (1969), n. 144, ottobre,  p.55

 

Gilardi 1976

Ando Gilardi, Storia sociale della fotografia. Milano: Feltrinelli, 1976

 

Greco 1969

Enzo Greco, La figura e l’opera di Francesco Negri. Casale Monferrato: Lions Club, 1969

 

Greco, Serrafero 1973

Enzo Greco, Gabriele Serrafero, La documentazione microfotografica delle scoperte batteriologiche nell’opera del casalese Francesco Negri (1884-1885), in “Atti della VII Biennale della Marca e dello Studio Firmano”, (Fermo, 2-4 maggio 1967). Civitanova Marche: Grafiche Corsi, 1973

 

Gunthert 2001

André Gunthert, Esthétique de l’occasion. Naissance de la photographie instantanée comme genre, “études photographiques”, 6 (2001), n.9, mai, pp. 64-87

 

Holt 1989

Lee Elbert Holt,  Samuel Butler. Boston: Twayne Publishers,  1989

 

Infinitamente  2004

Infinitamente al di là di ogni sogno. Alle origini della fotografia di montagna, catalogo della mostra (Torino, 2004), a cura di P. Cavanna. Torino: Museo Nazionale della Montagna, 2004

 

L’Italia d’argento  2003

L’Italia d’argento, catalogo della mostra (Firenze – Roma, 2003), a cura di Maria Francesca Bonetti, Monica Maffioli. Firenze: Alinari, 2003

 

Jeffrey 1999

Ian Jeffrey, Revisions: an alternative history of photography. Bradford: National Museum of Photography, Film and Television, 1999

 

Johnson 1998

Geraldine A. Johnson, ed., Sculpture and photography: envisioning the third dimension. Cambridge:  Cambridge University Press, 1998

 

Jones 1918

Henry Festing Jones, ed., The note-books of Samuel Butler. London: Arthur C. Fifield, 1918

 

Jones 1919

Henry Festing Jones,  Samuel Butler, author of Erewhon (1835-1902) a memoir. London: Macmillan and Co., 1919

 

Mario Gabinio 1996

Mario Gabinio. Dal paesaggio alla forma. Fotografie 1890-1938, catalogo della mostra (Torino, 1996-1997), a cura di P. Cavanna, Paolo Costantini. Torino: Umberto Allemandi & C., 1996

 

Masoero 1900

Pietro Masoero,L’Esposizione fotografica di Torino – Note ed appunti, I parte, “Bullettino della Società Fotografica Italiana”, 12 (1900), pp. 124-139

 

Masoero 1902

Pietro Masoero, Esposizione internazionale di Fotografia di Torino. Relazione al Consiglio direttivo, “Bullettino della Società Fotografica Italiana”, 14 (1902), pp. 465-479

 

Mattirolo 1925

Oreste Mattirolo, In Memoria dell’Avv. Francesco Negri. Commemorazione letta nella Adunanza del 1° marzo 1925 alla Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti dal Socio Presidente Mattirolo Oreste, estratto dal «Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti», 9 (1925), n.1-2. Torino: Tip. Anfossi, 1925

 

Miraglia 1981

Marina Miraglia, Note per una storia della fotografia italiana (1839 – 1911), in “Storia dell’arte italiana”, 9**, Illustrazione e fotografia. Torino: Einaudi, 1981, pp. 423-543

 

Miraglia 1990

Marina Miraglia, Culture fotografiche e società a Torino 1839-1911. Torino: Umberto Allemandi & C., 1990

 

Miraglia 2006

Marina Miraglia, Veduta, panorama, paesaggio. Vittorio Sella e la fotografia delle vette, in Paesaggi verticali  2006, pp.11-21

 

Morbelli & Morbelli 1995

Morbelli & Morbelli, catalogo della mostra (Varese – Casale Monferrato, 1995), a cura di Giovanni Anzani, Filippo Maggia. Varese: Edizioni Lativa, 1995

 

Negri 1892

Francesco Negri, Una famiglia d’artisti casalesi dei secoli XV e XVI, “Rivista di storia arte e archeologia della provincia di Alessandria”, 1 (1892), n. 2, luglio-dicembre, pp. 160-161

 

Negri 1895

Francesco Negri, Giorgio Alberini. Pittore, “Rivista di storia arte e archeologia della provincia di Alessandria”, I, 4 (1895), n. 9, pp. 7-17; II, n. 11, pp. 179-194

 

Negri 1895-1896

Francesco Negri, Il Moncalvo. Notizie su documenti, “Rivista di storia arte e archeologia della provincia di Alessandria”, I, 4 (1895), n. 12, pp. 263-280; II,  5 (1896), n.13, pp. 103-129; III,  n. 14, pp. 207-225

 

Negri 1902

Francesco Negri, Il Santuario di Crea in Monferrato , “Rivista di Storia, Arte, Archeologia della provincia di Alessandria”, 11 (1902), n. 6,  (nuova serie), pp. 5-76

 

Negri 1906

Francesco Negri, Appunti sulla tricromia, “Bullettino della Società Fotografica Italiana”, 18 (1906), pp. 42-44

 

Negri, Cassone 1885

Francesco Negri,  Giuseppe Cassone, Contribuzione allo studio della genesi e modo di diffusione del colera, “Lo sperimentale: giornale italiano di scienze mediche”, gennaio 1885, pp. 40-45

 

Negri, Pisolini 1882

Francesco Negri, Francesco Pisolini, Contribuzione allo studio dei bacilli speciali delle tubercolosi. Firenze: Tip. Cenniniana, 1882, estratto da “Lo sperimentale: giornale italiano di scienze mediche”, agosto 1882

 

O’Brien, Bergstein 2000

Maureen C. O’Brien, Mary Bergstein, eds., Image and Enterprise. The Photographs of Adolphe Braun. London: Thames & Hudson, 2000

 

Oddone 1925

Edoardo Oddone, Commemorazione di Francesco Negri, “Il Monferrato”, 25 (1925), n.1, 3 gennaio

 

Omezzoli 2003

Tullio Omezzoli, Come nasce la biblioteca di Aosta. Aosta: Le Château, 2003

 

Paesaggi verticali  2006

Paesaggi verticali. La fotografia di Vittorio Sella 1879 – 1943, catalogo della mostra (Torino, 2006), a cura di Lodovico Sella. Torino: Fondazione Torino Musei – GAM, 2006

 

Un paese unico  2000

Un paese unico. Italia fotografie 1900 – 2000, catalogo della mostra itinerante,  a cura di Cesare Colombo. Firenze: Alinari, 2000

 

Prima Esposizione  1924

Prima Esposizione Internazionale di fotografia, ottica e cinematografia. Milano – Roma: Bestetti e Tuminelli, 1924

 

Principe, Sensi, Casati 2004

Franca Principe, Nadia Sensi, Stefano Casati, Il Fondo Roster dell’Istituto e Museo di Storia delle Scienze di Firenze, “AFT”, 20 (2004), n.39/40, giugno/dicembre, pp. 3-20

 

Pygmalion Photographe  1985

Pygmalion Photographe. La sculpture devant la caméra 1844-1936, catalogo della mostra (Ginevra, 1985), Rainer Michael Mason, Hélène Pinet, dir. Genève: Cabinet des Estampes, Musée d’Art et d’Histoire, 1985

 

Quintavalle 2003

Arturo Carlo Quintavalle, Gli Alinari. Firenze: Alinari, 2003

 

Romano 1970

Giovanni Romano, Casalesi del Cinquecento. L’avvento del manierismo in una città padana. Torino: Einaudi, 1970

 

Saccardo 1895

Pier Andrea Saccardo, La Botanica in Italia. Venezia: Tipografia C. Ferrari, 1895

 

Sagne 1984

Jean Sagne,  L’atelier du photographe: 1840-1940. Paris: Presses de la Renaissance, 1984

 

Samek Lodovici 1946

Sergio Samek Lodovici, Storici, teorici e critici delle arti figurative in Italia dal 1800 al 1940. Roma: Tosi, 1946

 

Il Santuario di Crea 1908

Il Santuario di Crea. Cenni sulla conferenza dell’Avv. Cav. Francesco Negri. Torino: Unione Escursionisti – Tip. M. Massaro, 1908

 

Sculpter-Photographier  1991

Sculpter-Photographier. Photographie-Sculpture, atti del convegno (Parigi, Museo del Louvre,  22-23 novembre 1991), Michel Frizot, Domique Païni, dir. Paris: Musée du Louvre, 1991

 

Serrafero 1967

Gabriele Serrafero, Cronache casalesi dal quarantotto al novecento. Casale Monferrato: Tip. Milano e C., 1967

 

Settimelli 1969

Wladimiro Settimelli, Storia avventurosa della fotografia. Roma: Editrice Fotografare, 1969

 

Settimelli, Geiger 1968

Wladimiro Settimelli, Friedel Geiger, Francesco Negri scienziato fotografo, dattiloscritto, 1968

 

Shaffer 1988

Elinor S. Shaffer, Erewhons of the eye : Samuel Butler as painter, photographer, and art critic. London: Reaktion Books, 1988

 

Skulptur 1998

Skulptur in Licht der Fotografie, catalogo della mostra (Vienna, 1998), Erika Billeter, hrsg. Wien: Museum Moderner Kunst Stiftung Ludwig, 1998

 

Spanzotti  2004

“Di fino colorito”. Martino Spanzotti e altri casalesi, catalogo della mostra(Casale Monferrato, 2004), a cura di Giovanni Romano con Alessandra Guerrini e Germana Mazza. Casale Monferrato: Città di Casale Monferrato, 2004

 

Stefano Bricarelli 2005

Stefano Bricarelli. Fotografie, catalogo della mostra (Torino, 2005), a cura di Pierangelo Cavanna. Torino: Fondazione Torino Musei-GAM, 2005

 

Stoppani 1875

Antonio Stoppani, Il Bel Paese. Conversazioni sulle Bellezze Naturali. Milano: Tipografia e Libreria Editrice Giacomo Agnelli, 1875

 

C.T. 1912

C.T., L’ «Olikos», apparecchio cinematografico di presa e di proiezione, “La Fotografia Artistica”, 9 (1912), pp. IV-V

 

Tamburini, Falzone del Barbarò 1981

Luciano Tamburini, Michele Falzone del Barbarò, Il Piemonte fotografato da Secondo Pia. Torino: Daniela Piazza Editore, 1981

 

Toffoletti, Zannier

Riccardo Toffoletti, Italo Zannier, a cura di, Enrico del Torso fotografo (1876 – 1955). Udine: Arti Grafiche Friulane, 1990

 

Valle 1925

P.G. [Padre Giovanni Valle], Crea nella fotografia, “La Madonna di Crea, periodico del Santuario di Crea”, 17 (1925), n.6, giugno, p. 69

 

Valle 1926

  1. Giovanni Valle, L’arte fotografica a Crea, in La Fiorita di Crea, a cura dei PP. Francescani del Santuario. Casale Monferrato: Tip. Succ. Cassone, 1926, pp.275-279

 

Vescovo 1982

Marisa Vescovo, Ombre e luci come grafia e mimesi del reale,  in Angelo Morbelli 1982, pp.21-32

 

Villata 2000

Edoardo Villata, Macrino d’Alba. Alba: Fondazione Ferrero, 2000

 

Warner Marien 2002

Mary Warner Marien, Photography: A Cultural History. London: Laurence King Publishing, 2002

 

Zannier 1979

Italo Zannier, La massificazione della fotografia (1880 – 1899), in Fotografia Italiana dell’Ottocento 1979, pp. 85-118

 

Zannier 1986

Italo Zannier, Storia della fotografia italiana. Roma – Bari: Laterza, 1986

 

Zannier, Costantini 1985

Italo Zannier, Paolo Costantini, Cultura fotografica in Italia. Milano: Franco Angeli, 1985

 

 

 

La biblioteca del fotografo

 

Vengono qui repertoriate le pubblicazioni appartenute a Francesco Negri conservate presso la Biblioteca Civica di Casale Monferrato, sulla base di una ricognizione effettuata nel 1990-1991; a queste sono state aggiunte (segnalandole con un asterisco) tutte le pubblicazioni fotografiche conservate nella stessa sede edite prima del 1924, data di morte del fotografo, di provenienza diversa o di cui non è documentata l’appartenenza al Fondo Negri.

La consistenza complessiva risulta oggi essere di circa sessanta titoli e certamente non corrisponde pienamente allo stato originario della biblioteca di Francesco Negri non essendo ad oggi reperibili almeno due periodici ed un catalogo documentati da fonti diverse: “The Philadelphia Photographer” del 1869, che compare nel noto ritratto della moglie (FN, 12/B146), “Photographic News” del 1887 a cui Negri fa riferimento in un appunto citato da Fabrizio Celentano (in Colombo 1969, p.120), il catalogo di Joseph Bamfortp ricordato da Ando Gilardi nella stessa monografia ed ancora il fondamentale testo di Alcide Ducos du Hauron del 1869.

 

Anderson 1907

Domenico Anderson, Catalogo, III, Parte prima. Parte seconda.  Roma: Anderson,1907

 

Anderson 1911

Domenico Anderson, I.er supplement au Catalogue general. Première partie. Deuxième partie. Roma: Anderson, 1911

 

Apparecchio 1897

Apparecchio cronofotografico e Kinetoscopio Pasquarelli. Torino: Camilla e Bertolero, s.d.[1897?]

 

Association Belge 1884-1895

“Association Belge de Photographie: Bulletin”, II serie, 11(1884), 15 (1888) – 22 (1895)

 

Aubry 1903

Roger Aubry, dir., Annuaire Général et International de la photographie. Paris: Plon-Nourrit et C.ie, 1903

 

Aubry 1907

Roger Aubry, dir., Annuaire Général et International de la photographie. Paris: Plon-Nourrit et C.ie, 1907

 

Barreswil, Davanne 1854

[Charles Louis] Barreswil, [Alphonse] Davanne, Chimica fotografica; versione del Prof. Giuseppe Ravani. Milano: Libreria Ravani, 1854

 

Barreswil, Davanne 1861

[Charles Louis] Barreswil, [Alphonse] Davanne, Chimie photographique. Paris: Mallet-Bachelier, 1861

 

Blanquart-Evrard 1851

[Louis Désiré] Blanquart-Evrard, Traité de photographie sur papier. Paris: Roret, 1851

 

Bonacini 1897

Carlo Bonacini, La fotografia dei colori. Milano: Hoepli, 1897

 

Borlinetto 1868

Luigi Borlinetto, Trattato generale di fotografia. Padova: Stabilimento Nazionale di P. Prosperini, 1868

 

Bullettino SFI 1900-1911

“Bullettino della Società Fotografica Italiana”, Firenze, 12 (1900) – 18 (1906); 20 (1908) – 21(1911)

 

Buron 1841

[Noël François Joseph] Buron,  Description de nouveaux daguerréotypes perfectionnés et portatifs. Paris: Dondey-Dupré Imprimeurs, s.d. [1841]

 

Burton 1884

William Kinninmond Burton, A B C de la photographie moderne. Paris: Gauthier-Villars, 1884

 

Camera Oscura 1864-1865

“La Camera Oscura. Rivista periodica universale dei progressi della fotografia per G. Ottavio Baratti”. Milano: Tip. Giuseppe Redaelli, 2 (1864) – 3 (1865)

 

Camera Oscura 1865-1867

“Camera Oscura. Rivista universale dei progressi della fotografia per O. Baratti”, Milano, 3 (1865) – 5 (1866-1867)

 

Chapel d’Espinassoux 1890

Gabriel Chapel d’Espinassoux, Traité pratique de la détermination du temps de pose. Paris: Gauthier-Villars et fils, 1890

 

Chevalier A. 1876

Arthur Chevalier, L’étudiant photographe. Traité pratique de photographie à l’usage des amateurs. Paris: Eugène Lacroix, s.d. [1876]

 

Chevalier C. 1846

Charles Chevalier, Nouveaux renseignements sur l’usage du daguerréotype. Paris: Chez l’auteur – Palais Royal, 1846

 

Clerc 1899

Louis-Philippe Clerc, La photographie des couleurs; prefazione di Gabriel Lippmann. Paris: Gauthier-Villars, Masson et C.ie, s.d. [1899]

 

Colson 1894

René Colson, La perspective en photographie. Paris: Gauthier-Villars et fils, 1894

 

Corriere Fotografico 1920-1922

“Il Corriere Fotografico”, Milano, 17 (1920) – 19 (1922)

 

Coustet 1913

Ernest Coustet, La fotografia dell’infinitamente piccolo, “Il Corriere Fotografico”, 10 (1913), n.12, dicembre, pp.9-10

 

Daguerre 1839

[Louis J.M Daguerre], Description pratique du procédé nommé le daguerréotype. Gênes: A. Beuf, 1839; allegato: Description des procédés de peinture et d’éclairage inventés par Daguerre, et appliqués par lui aux tableaux du diorama; Projet de Loi

 

Despaquis 1866

Despaquis, Photographie au charbon. Paris: Leiber, 1866

 

Disderi 1862

André-Adolphe-Eugene Disderi, L’art de la photographie. Paris: Chez l’auteur, 1862

 

Ducos du Hauron 1897

Alcide Ducos du Hauron, La triplice photographique des couleurs et l’imprimerie. Paris: Gauthier-Villars, 1897

 

* Egasse 1888

Edouard Egasse, Manuel de photographie au gélatino-bromure d’argent. Paris: Octave Doin, 1888

 

Esposizione Internazionale  1907

Esposizione Internazionale di Fotografia Artistica e Scientifica – Catalogo. Torino: La Fotografia Artistica, 1907

 

Fabre 1889-1902

Charles  Fabre, Traité encyclopédique de photographie. Paris, Gauthier-Villars et fils, 1889-1902, 7 voll.

 

                Matériel photographique, 1889

II                 Phototypes Négatifs, 1890

III                Phototypes positifs. Photocopies. Photocalques, Phototirages, 1890

IV                Agrandissements. Applications de la photographie,1890

A                 Premier Supplément, 1892

B                 Deuxième Supplément, 1897

C                 Troisième Supplément, 1902

 

 

La Fotografia 1902

La Fotografia e le sue applicazioni alle arti grafiche; supplemento artistico al “Bullettino della Società Fotografica Italiana”, 1 (1902), n.3/4, marzo-aprile

 

Il Fotografo 1922

“Il Fotografo”, Torino, 4 (1922), n. 11, Novembre

 

Fouque 1867

Victor Fouque, La vérité sur l’invention de la photographie. Nicéphore Niepce, sa vie, ses essais, ses travaux. Paris: Leiber, 1867

 

Girard 1870

Jules Girard, La Chambre Noire et le Microscope. Photomicrographie pratique. Paris: F. Savy, 1870

 

Girard 1872

Jules Girard, Photomicrographie en cent tableaux pour projection. Paris: Gauthier-Villars, 1872

 

Huberson 1879

Gabriel Huberson, Précis de Microphotographie. Paris: Gauthier-Villars, 1879

 

Klary 1888

  1. Klary, L’art de retoucher les négatifs photographique. Paris: Gauthier-Villars et fils, 1888

 

König 1906

Ernst  König, Natural-color photography. London: Dawbarn & Ward Ltd., s.d. [1906]

 

La Blanchère 1862-1866

Henri de la Blanchère,  Répertoire encyclopédique de photographie: comprenant par ordre alphabétique tout ce qui a paru et paraît en France et à l’étranger depuis la découverte par Niepce et Daguerre de l’art d’imprimer au moyen de la lumière, I, II.  Paris: [Aymot],  s.d. [1862-1866]

 

Lefèvre 1888

Julien  Lefèvre, La photographie et ses applications aux sciences, aux arts et à l’industrie. Paris: Baillière et fils, 1888

 

Le Roux 1902

Marc Le Roux, dir., Annuaire Général et International de la photographie 1901-1902. Paris: Plon-Nourrit et C.ie, 1902

 

* Liesegang  1864

Paul Liesegang, Manuale illustrato di fotografia; prima traduzione italiana dalla quinta tedesca di Antonio Mascazzini. Torino: Unione Tipografico-Editrice, 1864

 

Londe 1888

Albert  Londe, La photographie moderne: pratique et applications. Paris: G.Masson Éditeur, 1888

 

Lumière 1897

Augusto e Luigi  Lumière, Nozioni sul cinematografo. s. l. : s.n. [1897?]

 

Malley 1883

Abraham Cowley Malley, Micro-photography, including a description of the wet collodion and the gelatino-bromide process. London: H.K.Lewis, 1883

 

Meldola 1889

Raphael  Meldola, The chemistry of photography. London – New York: Macmillan and Co., 1889

 

Miethe 1896

Adolf Miethe, Optique photographique sans développements mathématiques a l’usage des photographes et des amateurs. Paris: Gauthier-Villars et fils, 1896

 

Moitessier 1866

Albert Moitessier, La photographie appliquée aux recherches micrographiques. Paris: J.B. Baillière et fils, 1866

 

Monckhoven 1859

Désiré van Monckhoven, Répertoire général de photographie théorique et pratique. Planches. [Paris], [A. Gaudin et Frère], 1859

 

Monckhoven 1863

Désiré van Monckhoven, Traité général de photographie. Paris: Victor Masson, 1863

 

Monckhoven 1880

Désiré van Monckhoven, Traité général de photographie suivi d’un chapitre spécial sur le gélatino-bromure d’argent. Paris, G. Masson, 1880

 

Muffone 1887

Giovanni Muffone, Come il sole dipinge. Manuale di fotografia per i dilettanti. Milano: Hoepli, 1887

 

*Muffone 1892

Giovanni Muffone, Come il sole dipinge. Manuale di fotografia per i dilettanti, seconda edizione rifatta. Milano: Hoepli, 1892

 

*Muffone 1906

Giovanni Muffone, Come dipinge il sole. Fotografia per i dilettanti, sesta edizione riveduta e ampliata. Milano: Hoepli, 1906

 

*Namias 1912

Rodolfo Namias, Carte e viraggi per la fotografia artistica e la carta al pigmento o carbone.  Milano: Il Progresso Fotografico, 1912

 

Notizie Tensi 1913-1914

“Notizie della Società Anonima Tensi Milano”, 1 (1913), n.2;  2 (1914), n.1, suppl. al n.1

 

Paris Photographe 1891-1894

“Paris Photographe”, 1 (1891) 4 (1894)

 

Phipson 1864

Thomas Lamb Phipson, Le préparateur-photographe ou traité de chimie a l’usage des photographes.  Paris: Leiber, 1864

 

La Photographie 1908-1909

“La Photographie. La Photographie des Couleurs et la Revue des sciences photographiques et leurs applications réunies”, N.S., 1 (1908) – 2 (1909)

 

La Photographie des couleurs 1906-1907

“La Photographie des Couleurs: Revue Mensuelle”, 1 (1906), n.2, Août – 2 (1907), n.7, Juillet

 

Piquepé 1881

Paul Piquepé, Traité pratique de la retouche des clichés photographiques suivi d’une méthode très détaillée d’émaillage et de formules et procédés divers. Paris: Gauthier-Villars, 1881

 

Reichardt, Stürenburg 1868

Oscar Reichardt, Carl Stürenburg, Lehrbuch der Mikroskopischen Photographie. Leipzig: Quandt & Händel, 1868

 

Rivista Scientifico – Artistica 1893-1897

“Rivista Scientifico – Artistica di Fotografia”. Bollettino del Circolo Fotografico Lombardo, 1 (1893) – 6 (1897)

 

Roster 1893

Giorgio Roster, Note pratiche su la telefotografia. Firenze: Salvatore Landi, 1893

 

Roster 1899

Giorgio Roster, Le applicazioni della fotografia nella scienza. Conferenza, estratto dagli “Atti del Secondo Congresso Fotografico Italiano” (Firenze, 15-19 maggio 1899). Firenze: Tip. M. Ricci, 1899

 

Rouillé-Ladevèze 1894

Auguste Rouillé-Ladevèze, Sépia-photo et sanguine-photo. Paris: Gauthier-Villars et fils, 1894

 

*Sassi 1897

Luigi Sassi, Le proiezioni. Materiale – Accessori – Vedute a movimento- Positive sul vetro- Proiezioni speciali policrome, stereoscopiche, panoramiche, didattiche, ecc. Milano: Hoepli, 1897

 

Sassi 1905

Luigi  Sassi, La fotografia senza obiettivo. Milano: Hoepli, 1905

 

* Sassi 1912

Luigi Sassi, Immagini fotografiche a colori. Ottenute con sviluppi e viraggi su carte all’argento e su diapositive. Milano: Hoepli, 1912

 

* Sassi 1917

Luigi Sassi, I primi passi in fotografia. Milano: Hoepli, 1917

 

*Sella 1863

Giuseppe Venanzio Sella, Plico del fotografo. Trattato teorico-pratico di fotografia. Torino: Tip. G.B. Paravia e Comp., 1863

 

Spiller 1883

Arnold Spiller, Douze leçons élémentaires de chimie photographique. Paris: Gauthier-Villars, 1883

 

Sternberg 1883

George Miller Sternberg, Photo-Micrographs and how to make them. Boston: James R. Osgood and Company, 1883

 

*Thierry 1847

Jean Pierre Thierry, Daguerréotypie. Edition augmentée par l’auteur de la description rigoureuse duprocédé dit Americain et de son emploi facile avec sa composition d’iode. Paris: Lerebours et Secretan, 1847

 

*Valicourt 1851

Edmond de Valicourt, Nouveau manuel complet de photographie sur métal, sur papier et sur verre. Nouvelle édition. Paris: Roret, 1851

 

Vidal 1884

Léon Vidal, Calcul des temps de pose et tables photométriques. Paris: Gauthier-Villars, 1884

 

Vidal 1885

Léon  Vidal, Manuel du touriste photographe, I, II. Paris: Gauthier-Villars, 1885

 

Vogel 1887

Hermann Wilhelm Vogel, La photographie des objets colorés avec leurs valeurs réelles. Paris: Gauthier-Villars, 1887